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 2020  giugno 05 Venerdì calendario

Intervista a James Patterson su "Sporco ricco" (Chiarelettere)

"La brutta storia di Jeffrey Epstein è lo specchio di una società dove le disparità sono profonde, la giustizia non funziona e il mondo dell’informazione non fa sempre il suo dovere. Noi pubblicammo la particolareggiata storia delle sue malefatte nel 2016, quando nessuno ne parlava, dopo aver verificato con una nostra inchiesta i verbali della polizia. Ma solo quando il suo nome è stato collegato a quello di Donald Trump, ormai presidente, tutti hanno iniziato a interessarsene. Solo allora Epstein si è trovato seriamente nei guai". Il maestro del thriller James Patterson, 73 anni, fra gli autori più prolifici al mondo e pure uno dei più ricchi - secondo la rivista Forbes conta su un patrimonio di 800 milioni di dollari - dall’alto dei suoi 300 milioni di libri venduti, non cela il disprezzo verso coloro che troppo a lungo hanno taciuto la lurida storia di abusi su minori, festini e ospiti illustri, da lui rivelata quattro anni fa nel libro-inchiesta Filthy Rich, ora pubblicato in Italia da Chiarelettere con il titolo Sporco Ricco. Da quella storia è tratto anche un documentario, in onda su Netflix.

Lei vive nell’area più esclusiva di Palm Beach, a poche centinaia di metri dal villino degli orrori. Quando avete saputo cosa accadeva lì dentro?
"Per anni nessuno ha saputo cosa accadeva nella villa al 358 di El Brillo Way. Le indagini sul miliardario pedofilo furono a lungo riservate. Iniziarono nel 2005, quando una quattordicenne picchiò una compagna per averla chiamata "puttana". Nella sua borsa furono trovati 460 dollari in biglietti da 20. La scuola chiamò i genitori, poveri immigrati cubani: ’Vostra figlia spaccia droga’. Fu la psicologa scolastica a tirarle fuori la verità. Era stata nella villa di Epstein, si era lasciata toccare ed era stata pagata per quello. L’aveva portata una compagna. Senza quella rissa, nessuno avrebbe saputo: e invece la polizia stabilì che almeno 47 ragazzine fra i 13 e i 15 anni erano state molestate e indotte a vendersi per poche centinaia di dollari. Nel 2008 ci fu il primo processo: Epstein patteggiò. Ma da queste parti viviamo tutti vite molto riservate. E la sua villa, piuttosto anonima, aveva il pregio di essere l’ultima di una strada senza uscita. Nessuno vedeva cosa accadeva lì dentro".

Come seppe di quella storia?
"Fu il racconto di  un mio amico, il reporter televisivo Tim Malloy, con cui firmo il libro, a incuriosirmi. Lo aveva incontrato per strada a Manhattan, mentre camminava su Madison Avenue in pantofole con due bellissime ragazze a fianco, giovanissime. Indagammo. Leggemmo gli articoli del processo sul Miami Herald. E cominciammo a collaborare con John Connolly, non il giallista inglese ma un ex poliziotto che aveva seguito le udienze. Mettemmo insieme i pezzi...".

Nel 2007 Epstein stesso si era dichiarato colpevole, stringendo il patto della vergogna con l’allora procuratore federale della Florida Alexander Acosta. Ottenne una pena lieve e il trattamento dorato in un carcere privato...
"La mia opinione su quel patto non è così negativa. Le carte del processo, con le testimonianze delle ragazze, sono toste. Oggi sono donne, ma all’epoca erano davvero bambine! Mi sono fatto l’idea che Acosta fu intimidito dal dream team di avvocati di Epstein: c’erano Alan Dershowitz, il legale di O.J.Simpson. Ken Starr, il procuratore che imbastì l’impeachment di Bill Clinton. E Roy Black: negli anni 90 aveva fatto assolvere dall’accusa di stupro William Kennedy Smith, uno dei nipotini di JFK. Quindici anni fa vivevamo in un’epoca diversa da questa. Il MeToo non c’era ancora stato. E portare quelle ragazzine in tribunale significava farle trattare alla stregua di prostitute. Ne sarebbero uscite segnate a vita. La mia impressione è che si provò a proteggerle senza insabbiare. Pure se di loro è sempre importato poco a tutti. Solo l’allora capo della polizia di Palm Beach Michael Reiter e il detective Joe Recarey se ne preoccupavano. Furono i soli a essere davvero sconvolti da quel che scoprirono".

Perché dice che delle ragazze non importò mai nulla a nessuno?
"Non importava allora, non importa nemmeno ora. Se la storia è tornata a galla, dopo che il mio libro, dove pure raccontavo già tutto, era uscito tre anni prima, è solo per il coinvolgimento di Alexander Acosta, nel frattempo diventato ministro del Lavoro di Donald  Trump. E infatti Acosta fu costretto a dimettersi quando emerse la faccenda della prigionia dorata di Epstein. Gli avevano permesso di lavorare da casa mentre tornava a dormire in un carcere privato, con tutti i comfort. E lui aveva ripreso subito le sue vecchie abitudini".

La residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago è a pochi chilometri dalle vostre ville. Sapeva delle malefatte di Epstein? E Bill Clinton, ospite sui suoi aerei?
"Non sapevano nulla: sarebbe venuto fuori. Certo, Trump aveva notato che Epstein era sempre accompagnato da ragazze giovani. Ma non pensava fossero minorenni. Fra le persone intervistate nel libro, c’è la direttrice della Spa di Mar-a-Lago, il club di Trump qui a Palm Beach, appunto. Mi raccontò che Epstein fece effettivamente qualcosa di inappropriato in quel club. Lei lo disse a Trump e lui lo cacciò via. Lo bandì per sempre. Quanto a Bill Clinton - mio amico, abbiamo appena pubblicato il nostro secondo romanzo insieme, The President’s Daughter, sequel di quello del 2018, The President is Missing - sono certo che anche lui non sapesse niente. Ho parlato perfino con i piloti di quei voli. Non accadde mai nulla di strano. Né Clinton rimase mai da solo con lui. L’unico grosso nome su cui i sospetti sono fondati è il Principe Andrea. O meglio, io non so cosa abbia fatto, ma a certe feste partecipò davvero".

Lei frequenta Mar-a-Lago? Conosce Donald Trump?
"L’ho incontrato ma non frequento il suo club. I giornali ogni tanto scrivono il contrario: ma perché fra gli iscritti c’è un mio omonimo. Non sono io ma un tizio proprietario di una catena di ristoranti in Kentucky. Io non appartengo a nessuno".

E della morte di Epstein in carcere cosa pensa? Fu davvero suicidio?
"Non mi piacciono le teorie complottiste. Credo si sia impiccato: ma sono aperto all’idea che qualcuno lo volesse far fuori. Di sicuro la sua morte ha fatto comodo a tanti. Però Epstein sapeva che i tempi erano cambiati e da quel carcere non sarebbe uscito più. Il suicidio è plausibile. Sa, la realtà è sempre più incredibile della letteratura. Se per un romanzo avessi inventato un personaggio orribile come lui, nessuno ci avrebbe creduto. E invece guardi i tempi assurdi in cui viviamo: la pandemia, Trump presidente degli Stati Uniti e le sue sciocchezze contro la scienza... Chi crederebbe, in un romanzo, che un personaggio simile possa davvero approdare alla Casa Bianca? Un romanzo del genere sarebbe un flop. Non lo comprerebbe nessuno. Sì, oggi è tutto così incredibile che mi chiedo: chissà se la gente saprà ancora scrivere fiction quando la pandemia sarà finita".

Perfino uno scrittore prolifico come lei sarà in difficoltà?
"No, io no. Tutti tranne me. Io ho pile di quaderni pieni di idee. E poi, oltre alla fiction, ormai mi interessa raccontare storie vere. È appena uscito un mio libro sui Kennedy. Sto lavorando a un altro su Cassius Clay e pure a uno su John Lennon. Scrivere la storia di Epstein mi ha aperto la porta a un nuovo filone. Ho molto da scrivere. E moltissimo da fare".