la Repubblica, 8 giugno 2020
Messi, la trattativa del secolo
Ha volto d’artista la ripresa a porte chiuse della Liga, il campionato più artistico del mondo. Sabato prossimo, in Maiorca-Barcellona, Messi è atteso di nuovo ai suoi miracoli: per pochi intimi in loco, ma su almeno un miliardo di schermi. Nei primi giorni post quarantena era tornato bambino: per via del protocollo anti coronavirus, usciva di casa già vestito da calcio e vestito da calcio rientrava a farsi la doccia, come da piccolo a Rosario ai tempi del Grandoli, sua prima squadretta. Sabato scorso è tornato a calcare l’erba del Camp Nou dopo tre mesi di astinenza: nella foto sui social, con chiosa, è un adolescente innamorato dello stadio vuoto: “Mi sei mancato troppo, non vedo l’ora”.
Chi non vede l’ora è soprattutto il presidente uscente del Barcellona Bartomeu, arbitro non neutrale della scottante campagna per le elezioni del 2021: intende lasciare la poltrona col colpo, già entro luglio, del contratto a vita col campione. Tale infatti appare, stavolta, l’annuale ritocco dell’ingaggio, essendo imminente il trentatreesimo compleanno del Pallone d’oro. Il 24 giugno nessuno lo metterà in croce, però mercoledì 10 scade la clausola che gli permette di liberarsi a parametro zero, voluta per rinegoziare ogni primavera l’ingaggio. Messi non la farà valere: resterà automaticamente al Barça fino a luglio 2021, anche se i tabloid fantasticano (l’ultima, lo scambio col Liverpool per Salah).
Tuttavia sarà più delicato del solito il negoziato tra Bartomeu e papà Jorge Messi, che il 15 giugno dovrebbe arrivare da Rosario. L’orizzonte barcellonista di Re Leo spazia oltre i 34 anni e nel 2022 la clausola maschererebbe appena il matrimonio a vita, anche perché il capitano dell’Argentina vuole affrontare senza pensieri il Mondiale, unico tabù della carriera. Ma non è scontato il consueto e rapido ritocco dello stipendio annuo (ormai supera i 41 milioni di euro), dato il crollo per pandemia del fatturato del club, stimato in meno di 700 milioni, dagli 841 del 2019. Solo che in Catalogna “la función politica del Barça” non prescinde da Messi dal 16 novembre 2003, cioè da quando l’allora sedicenne prodigio debuttò in amichevole, in casa del Porto di Mourinho. Lo sa bene Bartomeu, che si è unito all’apprensione per l’indolenzimento al quadricipite del fuoriclasse, la cui eventuale assenza col Maiorca sottrarrebbe alla Liga telespettatori globali, penalizzando anche il governo, che ha caldeggiato la ripartenza del campionato. La funzione politica del calcio in Spagna l’ha del resto confermata don Vicente Del Bosque, ct del Mondiale della Roja nel 2010: il premier Sanchez gli ha chiesto di entrare nella sua squadra: “Ma mio padre mi diceva: comportati bene e non entrare in politica”.
Per ora non si entra nemmeno negli stadi. Lo ha ribadito ieri Sanchez stesso: «Non sarebbe giusto aprire in un posto sì e nell’altro no». La speranza è che da ottobre torni il 30% del pubblico. Nel frattempo il Son Moix cambierà nome proprio da sabato 13. Si chiamerà “Visita lo Stadio di Maiorca” e non sfugge l’intento di promuovere il turismo alle Bale ari. Messi viene dato per recuperabile, in coppia con Suarez guarito dall’infortunio al ginocchio. È pronto al duello col Real Madrid e in ansia per il connazionale Lautaro, che l’Inter non cederà per meno di 110 milioni. L’icona insegue il nono titolo di Liga nelle ultime 12 stagioni e vede spuntare emuli ovunque. In allenamento ne sta esibendo uno il Maiorca, che lotta per la salvezza e contesta il calendario (meno di 72 ore di intervallo tra Barça e Villarreal): il gioiellino Luka Romero, 15 anni, nomignolo “Messi messicano” e doppio passaporto, ha scelto le giovanili dell’Argentina. Sogna un selfie col Messi originale. Il quale, a quasi 33 anni, sente assottigliarsi il tempo per le vittorie: «Il rinvio della Copa America è stato una grande delusione» le frasi riportate dalla Nacion. Ad agosto lo aspetta il ritorno degli ottavi di Champions col Napoli: «Guai se non miglioriamo, giocando come all’andata, non si vince».