«L’Everest dorme, nessuno può più disturbarne il sonno adesso». Reinhold Messner commenta così la situazione insolita in cui si trova oggi il monte più alto del pianeta. Dopo anni di “assalti” e assembramenti ai campi base da parte di turisti e alpinisti stranieri desiderosi di raggiungere gli 8848 metri della vetta, la pandemia ha bloccato spostamenti e confini in ogni parte del mondo, isolando in un silenzio glaciale la montagna iconica dell’Himalaya. Il primo alpinista ad aver scalato in solitaria, in piena stagione monsonica, e senza l’ausilio delle bombole d’ossigeno il tetto del mondo, il 20 agosto del 1980, è però preoccupato per le sorti dell’economia locale nepalese e del lavoro degli sherpa che si basa ormai su un turismo di massa. Molto, forse tutto, è cambiato da quando realizzò quella storica ascensione.
Reinhold Messner, che effetto le fa vedere da lontano l’Everest completamente solo?
«È una solitudine che colpisce perché ci siamo abituati alle immagini impressionanti delle code in salita e in discesa all’Hillary Step. Un affollamento che si registra sia in primavera che in autunno. E che quest’anno con l’emergenza della pandemia non c’è stato e non ci sarà più. Nessuno straniero può salire l’Everest. Non vedremo più sciami di turisti che si accalcano sulla montagna più alta della Terra, né le colonne di alpinisti sulla cresta sommitale. L’Everest dorme sonni tranquilli. Gli unici che hanno potuto salirlo lo scorso maggio sono stati gli alpinisti della spedizione cinese per celebrare il 60esimo anniversario della prima salita cinese e per rimisurarne l’altezza».
Che tipo di caratteristiche ha assunto la scalata dell’Everest oggi?
«L’alpinismo tradizionale non ha niente a che fare con la salita che centinaia di persone provenienti da tutto il mondo effettuano ogni anno, pagando cifre ragguardevoli che arrivano fino a 30 mila dollari. È una forma di turismo molto costoso. Le spedizioni sono interamente organizzate dalle agenzie di viaggi specializzate. Sul posto si trovano infrastrutture e servizi che garantiscono il raggiungimento della vetta e la sicurezza, con una completa assistenza, anche medica. Si sale da campo a campo percorrendo una pista preparata con un durissimo lavoro da centinaia di sherpa che accompagnano poi i clienti con le guide. Ci sono corde fisse a destra e a sinistra. L’obiettivo Everest è l’unica cosa che conta».
Perché questa ossessione?
«È la montagna più alta del mondo. L’Everest è in sé un record. Le persone coltivano l’ambizione di conquistare un record e questo le porta ad arrivare lassù sulla cima. Ma parliamo di un approccio alla montagna che non può essere assolutamente paragonato a quello di chi pratica l’alpinismo classico. L’Everest da tempo ormai non è più la stessa montagna che fu salita per la prima volta nel 1953 da Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay. Come non è più la stessa che salii io in solitaria nel 1980».
Che cosa è cambiato?
«La montagna ormai è ricoperta da un’enorme quantità di rifiuti, dalle bombole d’ossigeno vuote alle tende strappate e agli imballaggi di ogni genere. Ma a oltre a questo aspetto le salite in fila indiana pretendono molto poco dallo spirito dell’uomo, dal suo modo di rapportarsi e confrontarsi con la montagna. Non dico che l’alpinismo sia migliore, è un’altra cosa. È l’arte del sopravvivere in una condizione esposta a rischi e pericoli. Scalare in montagna, su roccia, diversamente da chi arrampica in palestra, vuol dire confrontarsi con un ambiente arcaico, difficile e insidioso».
Con questa pandemia che tipo di conseguenze ci saranno secondo lei sull’economia del Nepal
«La situazione è senza dubbio drammatica, già ora. Anche a livello sanitario c’è molta preoccupazione per la situazione dei contagi da Sars-CoV-2 in Nepal. Certo il turismo in questa fase è totalmente fermo a causa della pandemia. Sono state cancellate tutte le spedizioni agli Ottomila e anche tutti i trekking, un disastro economico per un paese che fonda una parte consistente del suo bilancio sugli introiti garantiti dai turisti. Ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro. Le ricadute di questa emergenza sanitaria purtroppo peseranno sulle spalle di intere famiglie nelle vallate himalaiane».
Prossimamente l’editore Corbaccio pubblicherà Everest solo , il racconto della sua salita in solitaria compiuta quarant’anni fa. Che ricordo conserva?
«Mi resta la sensazione di piccolezza di fronte all’immensità. Ero solo. Solo con l’Everest».