Avvenire, 7 giugno 2020
In Nicaragua vietato parlare e morire di coronavirus
Yamil è stato sepolto a mezzanotte. Quattro ore prima, si era spento all’ospedale Sermesa di Managua. Stroncato – è scritto nero su bianco nel certificato di morte – da una polmonite atipica. I medici hanno consegnato il corpo all’agenzia funebre in un sacco nero, chiuso ermeticamente, con un ordine preciso: seppellirlo il prima possibile. E, così, è stato fatto. Il furgoncino scortato dalla polizia e dalle “turbas”, paramilitari armati del presidente Daniel Ortega è andato dritto dalla clinica ai Jardines del Recuerdo, dove è stato tumulato a tamburo battente da uomini in tuta impermeabile bianca. Quella di Yamil è stata una delle tante “carovane della morte” sfilate nel cuore della notte in nicaraguense nelle ultime settimane. Così i cittadini hanno ribattezzato le insolite comitive di veicoli incaricate dell’ultimo viaggio dei defunti, morti negli ospedali di influenza, pleurite, complicazioni cardiovascolari, polmonite o addirittura diabete. Tutto meno il Covid. Perché in Nicaragua la pandemia è sotto controllo. Parola di Ortega e della vice, nonché moglie, Rosario Murillo. I dati sembrano dare loro ragione. Dal 2 giugno casi e vittime sono fermi rispettivamente a quota 1.118 e 46, le cifre più basse del Continente latinoamericano, piccole Antille escluse. Peccato che pochi, al di fuori del governo, ci credano. L’Osservatorio cittadino – formato da una novantina di persone, tra medici, epidemiologi, operatori sanitari, la cui identità è rigorosamente segreta per sfuggire alla repressione – parla di 4.217 contagiati e 980 vittime. Almeno questa è l’ultima rilevazione disponibile – risalente al 30 maggio – dell’organizzazione di fatto clandestina, come la quasi totalità delle associazioni indipendenti, perseguitate dopo la ribellione pacifica della società civile di due anni fa. Ma la cifra potrebbe essere ben più alta dato che l’esecutivo centellina i test. I funerali express – dall’ospedale al cimitero, senza possibilità di un estremo saluto – e notturni alimentano i sospetti di una strage invisibile. All’inizio, si trattava di notizie riportate dal passaparola.
Poi, alcuni familiari hanno iniziato a filmare col telefono e a pubblicare i video in rete. Molti, alla fine, hanno deciso di far sentire la propria testimonianza attraverso i media indipendenti che, nonostante gli attacchi, continuano a operare. Già nella seconda metà di maggio, gli attivisti parlavano di una media di nove seppellimenti “mordi e fuggi” al giorno. Anzi, a notte. All’epoca, il ministero della Salute riportava a malapena 25 casi. Le vittime non arrivavano a dieci. Sull’onda delle critiche, poi, il 20 maggio, il governo ha ammesso un balzo dei contagi, diventati all’improvviso 250. «I numeri hanno iniziato ad avvicinarsi alla realtà. Ma non di molto», afferma un medico che chiede di restare anonimo per evitare ritorsioni. Tanti di quelli che hanno contestato il negazionismo ufficiali sono stati licenziati. Le principali associazioni di operatori sanitari nicaraguensi, in una lettera aperta, sostengono che il sistema sanitario è ormai al collasso per il numero record di malati. Tra loro anche una quantità imprecisata di dottori e infermieri.
Cento nel solo ospedale Manolo Morales di Managua, secondo quanto rivelato da Carlos Quant, direttore dell’unità di malattie infettive della struttura che, ora, ha smesso di fare i tamponi al personale. Perfino i politici del partito del presidente iniziano ad ammalarsi e a morire. Non di coronavirus ovviamente, come sottolinea sempre la vice Murillo che il 25 maggio ha presentato il “Libro bianco” in cui il governo ha illustrato la propria strategia di fronte al Covid. O, meglio, ha giustificato il fatto che dal 18 marzo, quando è stato confermato il primo malato, le attività economiche, le scuole, perfino le manifestazioni pubbliche siano proseguite normalmente. Anzi, il duo Ortega- Murillo ha organizzato alcuni eventi di massa. Per fermare il campionato di baseball c’è voluta la rivolta dei giocatori dopo la morte dell’allenatore e star sportiva Carlos Aranda.«Ci siamo ispirati alla Svezia», ha detto Murillo. Peccato che il Paese scandinavo abbia fatto mea culpa per le mancate chiusure. Il Nicaragua di Ortega ha fatto meglio: «Siamo stati capaci di gestire la pandemia con successo senza bloccare l’economia – ha concluso la vicepresidente –. E l’opposizione non può sopportarlo».