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 2020  giugno 07 Domenica calendario

Le signorine delle banche

Le chiamavano, ci chiamavano “le signorine” perché, se sposate, ci mandavano a casa. Era una legge del 1927 rimasta in vigore fino al 1963, quando fu approvato il “divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa matrimonio”. E si scuserà il passaggio al noi femminile, comunitario, ma il materiale della mostra Non solo signorine. Donne in banca dalla Grande Guerra agli anni Sessanta, nell’ambito della manifestazione torinese Archivissima, è straordinario e terribile insieme. 
Stringe il cuore leggere i verbali, i contratti di lavoro, le circolari delle associazioni bancarie e sindacali, custoditi nei fascicoli del personale, preziosa e riservatissima fonte d’informazioni, nella quale si è immersa Barbara Costa, direttrice dell’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, riportando in superficie notizie e immagini che sembrano appartenere a un tempo remoto, di medioevo monacale. Invece parlano dell’altro ieri. 
Le donne entrano numerose in tutto il sistema bancario italiano quando gli uomini sono assenti, perché al fronte della Prima guerra mondiale. I circa 1.700 richiamati della Banca Commerciale Italiana sono sostituiti da 1.300 donne e tra queste, nella filiale di Torino, lavora dal 1° febbraio al 15 dicembre 1916 anche Rita Montagnana, militante socialista già nel 1917, e forse anche per questo allontanata, poi comunista e moglie di Palmiro Togliatti nel 1924.
Finita la guerra tornano gli uomini, e le donne, precarie, passano alle retrovie e lì restano silenziose e ordinate, come si legge su un cartello affisso in un ufficio di dattilografe, fino a quando scoppia la Seconda guerra mondiale e allora di nuovo si va in trincea tra file di schedari e macchine da scrivere. Ma questa volta in divisa, perché le “signorine” hanno l’obbligo di indossare un castigato e punitivo grembiule nero “di sufficiente lunghezza”. Il Banco Ambrosiano fornisce la stoffa e che l’impiegata si arrangi. La Commerciale si appoggia al reparto confezioni della Rinascente. Per il resto niente trucco, niente rossetto, niente lacca e quando le calze sono ormai introvabili l’ispettorato del personale della Cariplo delibera il 17 giugno 1943 che «nelle attuali contingenze potrebbe essere tollerato, con le opportune cautele, che il personale femminile permanga negli uffici, durante il servizio, senza calze». 
Che si trattasse di concedere alle donne il permesso di lavorare, da padri padroni, lo si capisce anche dagli stipendi dove le impiegate di prima categoria non solo guadagnano meno degli uomini, ma sono equiparate ai ragazzi minori di diciotto anni. Eppure al lavoro non si può rinunciare e quando la signorina Annamaria Bernardi, ragioniera, viene licenziata nel 1954 dopo quattordici anni di servizio perché in procinto di sposarsi, scrive alla direzione centrale del Banco Ambrosiano e professandosi “devotissima” supplica di poter mantenere il posto. A tal fine invia una lettera, senza risposta, al Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano. 
Bisognerà aspettare il 1963 perché una donna venga promossa funzionario e il primato spetta alla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, che nel suo bollettino interno saluta la promozione di Olga Agalbato come «una nota fiorita, una festosa macchia di colore nella nostra vita di lavoro». Negli stessi anni, nel reparto impiegate della Banca Cattolica del Veneto, sopra la fotografia del Papa appesa al muro si leggeva il cartello “Riflettete”. Sì, in effetti c’era da riflettere.