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 2020  giugno 07 Domenica calendario

Intervista a Franca Leosini

Con lei è sempre meglio il ruolo dell’intervistatore rispetto a quello dell’intervistato; in caso contrario, la situazione è grave.
Iconica come pochi altri, amata, seguita, attesa, Franca Leosini non definisce mai il suo percorso di “successo”, perché “io piuttosto porto risultati”; lei non legge, “io studio”; non usa le parole, “le posseggo”. E non lo spiega con arroganza, alterità, supponenza o ogni altra manifestazione poco nobile dell’animo, parla con la smaccata sincerità di chi sa e constata; di chi ha costruito una carriera attraverso l’approfondimento, la lenta e costante stratificazione, il rispetto delle sue Storie maledette, il sottile equilibrio tra un rischio voyeuristico e la reale discesa “negli inferi insieme ai protagonisti delle puntate, per cercare di capire qual è il momento di rottura con il viver comune”.
Da questa sera la Leosini torna su Rai3 con il suo programma, “solo due puntate rispetto alle quattro previste, e a causa della pandemia; (sorride) Claudio Baglioni mi ha appena mandato un messaggio bellissimo di in bocca al lupo”.
Con Baglioni è stata ospite a Sanremo.
Fu lui a chiamarmi e mi prese di sorpresa: non avrei mai immaginato una richiesta del genere, e quell’esperienza, in particolare l’uscita sul palco, ha generato un’emozione speciale.
È raro vederla in altri contesti oltre a “Storie maledette”.
È una questione di riserbo, non voglio affliggere le persone con un’overdose della mia presenza: per me è sbagliato, si tramuta in una forma di invadenza o di presunzione. Preferisco non esserci.
Ha chiesto consigli su come stare sul palco del Festival?
No, assolutamente.
Normalmente li cerca?
Ricordo una frase: “Non datemi consigli, sbaglio bene da sola”; però se c’è una dote che mi riconosco è l’umiltà, ma non sto li a domandare, se qualcuno mi suggerisce qualcosa, lo accetto come un regalo, e sono pronta farne tesoro.
Chi riconosce come suo maestro o ispiratore?
Nessuno, e capisco che può apparire come una presunzione.
Quindi…
Ribadisco: ho sempre ascoltato tutti, ma chi si ispira a qualcun’altro rischia di diventare il suo clone o la brutta copia. E sarebbe un grave errore.
Cambiamo prospettiva: prima di iniziare “Storie maledette” da chi ha imparato?
Ho sempre osservato, e so osservare, e ognuno di noi, anche involontariamente, assorbe da ciò che lo circonda; ma ribalto la questione: secondo lei imito mai qualcuno?
I suoi miti da ragazza.
Non guardavo molta televisione, ero più concentrata sui libri, amavo Pirandello e non sono mai stata un’appassionata di noir, di mistero, di gialli.
Ah, no?
Sono arrivata a Storie maledette attraverso un percorso letterario, di cultura, di curiosità: non mi interessa solo la dinamica del delitto, ma la strada che porta a quel momento; così ho scoperto che nel noir ci sono rappresentate le grande passioni della vita, scorrono i sentimenti, anche se con esito drammatico.
Non si è mai occupata di camorra o mafia.
Non mi interessano per il programma; cerco le persone comuni che a un certo punto della loro esistenza cadono nel vuoto di una storia maledetta.
E scende con loro negli inferi…
Non solo, li trascino nell’Inferno del loro passato per ricostruire le differenti fasi che portano la persona a compiere quel gesto; i miei protagonisti sono soggetti con una precedente esistenza normale.
Con alcuni mantiene i rapporti.
Sento spesso Rudy Guede (unico condannato del delitto di Perugia con vittima Meredith Kercher): quasi ogni settimana mi manda la “buona domenica”…
Anche con Pino Pelosi il rapporto era molto stretto.
Fu lui a cercarmi per confidare la sua verità rispetto al delitto di Pasolini; una verità magari parziale. Mi disse: “Desidero che sia lei a spiegare cosa è accaduto quella notte”.
Pelosi ha cambiato molte volte versione.
Ha mentito sempre anche rispetto al suo rapporto con Pasolini…
Cioè?
Fino a quando l’ho conosciuto ha parlato di “relazione estemporanea” nata la sera dell’omicidio, invece con me, e da subito, ha inquadrato la situazione come differente: si frequentavano da mesi.
Ha seguito Pelosi nelle ultime fasi della sua vita.
L’ho protetto fino all’ultimo, mi suscitava una forma di pietas: era un uomo finito in una storia decisamente più grande di lui; la prima volta che ci siamo incontrati è stato in un bar di periferia, come due amanti clandestini, e poi abbiamo proseguito il discorso in altre occasioni.
Da lui, in particolare, cosa cercava?
I nomi dei presenti, perché in quella notte in cui Pasolini è stato ucciso, Pelosi non era solo.
E…
Mi ha fatto capire che era vero, ma non me li ha mai confidati.
Secondo Aldo Grasso lei ha due ossessioni: il sesso e il linguaggio barocco.
Lo rispetto moltissimo ma parlo l’italiano di una persona che ha letto molto, ha studiato e studia; poi conosco l’uso degli aggettivi e volte pure dei sostantivi.
Il sesso?
Quasi tutte le storie che affronto sono attraversate da delle “passioni”, con passioni scritto tra virgolette, e come spiegavo prima non tratto mai vicende generate da professionisti del crimine, né casi basati su aspetti economici.
Non le interessano.
Forse ho una vocazione per le passioni: una vita senza emozioni, è come il deserto Atacama (posto celebre perché non piove da 400 anni).
Lei a scuola.
Brava ma non secchiona, non aspiravo al primo banco.
Non era la prima della classe?
La detestavo.
I suoi temi?
In italiano prendevo 9 o 10, mentre vivevo la matematica come un’opinione sbagliata, così gli insegnanti me la regalavano: si erano arresi e non potevano bocciarmi visti i risultati nelle altre materie.
Permetteva agli altri di copiare?
A scuola sempre; (sorride) per questo detestavo la prima della classe: durante i compiti di matematica piazzava le mani a mo’ di barriera e impediva di sbirciare.
All’università?
Laureata in Lettere Moderne con una tesi su Francois Villon; sul mio libretto c’era un solo 28.
Lo studio è stata una forma di emancipazione?
No, era un percorso che mi interessava; studiare permette di sottrarsi dalla schiera degli sprovveduti e degli imbecilli, e serve in ogni campo, anche riguardo alle storie d’amore; e poi sono nata in una culla agevolata.
Un punto chiave della sua vita?
Non bluffo mai. Pure per Storie maledette realizzo molte meno puntate di quelle richieste dalla Rete, ma devo approfondire, leggere ogni carta possibile, ed è necessario del tempo. Un giorno sono andata a un convegno di magistrati e a un certo punto ho detto: “Leggo le carte come voi”. E dalla platea: “No, molto più di noi!”.
Impiega mesi.
Non improvviso nulla, però quando incontro l’intervistato non anticipo mai le domande, non concordiamo niente.
Giustifica le bugie bianche?
Ogni protagonista tende a edulcorare la realtà, ma ho il dovere primario di riportare la verità processuale.
Sì, ma qual è il suo rapporto con la bugia?
Forse mi chiamo Franca per un segno del destino: le menzogne mi infastidiscono, al limite preferisco il silenzio.
Suo marito la segue molto nelle occasioni pubbliche.
Chi è impegnato in un mestiere come il mio, deve avere accanto persone di grande qualità, pazienti e comprensive.
È così complicato?
Tre quarti delle mie colleghe hanno situazioni sentimentali disastrate o sono sole: non è facile sopportare e supportare la nostra quotidianità; (cambia tono) quando arrivi in un posto diventi protagonista, e solo un uomo di qualità può accettare una situazione del genere.
Suo marito…
Massimo è orgoglioso di me, mi rispetta. (ci pensa) La vita privata di Oriana Fallaci rispetta lo stato di molte colleghe.
È mai stata una ragazza o una donna spericolata?
Non mi sembra, sono sempre stata abbastanza equilibrata.
Proprio mai?
(Cambia tono) Prima di sposarmi ero fidanzata con un neurochirurgo italiano professionalmente impegnato a New York. Io avevo vent’anni, lui 35. Pochi giorni prima del nostro matrimonio squilla il telefono, e dall’altra parte sento una voce di donna.
E…
Capisco che è una sua collega, che hanno una relazione, e arriva a minacciarmi: “Se ti presenti in chiesa, ti sparo sull’altare”.
E lei?
Nessuna esitazione, non sono caduta nel tranello della competizione tra donne, la menzogna di lui mi aveva reso determinata.
Immediatamente.
Sì, davvero, e non rimasi turbata dal tradimento: a quel tempo potevo comprenderlo, lui adulto e all’estero, io ragazza e a Roma; ciò che mi ha ferito è stata la menzogna, non aver cercato la mia complicità; (abbassa il tono della voce) chiusa la telefonata, per non essere vista da lui, uscii dal cortile di casa loro acquattata nel fondo di un’auto; (si ferma un paio di secondi) in qualche modo ho rischiato di diventare una “storia maledetta”.
Dopo di che?
Lui provò a cercarmi, a offrire delle spiegazioni, a sminuire il ruolo dell’altra…
È letteratura…
(Sorride) È vita; per convincermi a cambiare idea si mise di mezzo pure il delegato apostolico degli Stati Uniti.
Addirittura.
Prima con delle lettere, poi lo incontrai a Napoli, ma niente, mai vacillato: la vicenda era troppo grossa.
Quanto tempo ha impiegato per superare lo choc?
Pochi mesi dopo ho conosciuto Massimo, e la mia vita è cambiata; (sorride) ci siamo conosciuti a una festa, e lì mi disse: “Sai che hai belle gambe?” Risposi: “Con me l’adulazione non attacca”.
Perfetto.
Non si arrese.
C’è un personaggio della letteratura che l’accompagna da anni?
Ho cambiato eroe spesso, a seconda del libro che ho letto, dell’autore che mi ha appassionato.
Nel lockdown?
Ho studiato un processo e ho ripreso in mano Truman Capote: A sangue freddo è Storie maledette.
Un vizio.
Non fumo per scelta e nonostante la forte tentazione; l’unico che ho è la cioccolata al latte da assaporare la notte dopo l’ultimo telegiornale.
Scaramanzia.
Non sono legata a queste forme, però se posso evito di registrare una puntata il martedì o il venerdì, e quando capita mi racconto delle favole per non fissarmi sulla debolezza, per non giudicarmi.
Una fobia.
Alcuna, sono sempre forme di nevrosi.
Chi è lei?
Lo lascio giudicare agli altri; (ci pensa) ho il senso dell’amicizia e come regola di vita ho il rispetto umano.