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 2020  giugno 07 Domenica calendario

La parata perfetta compie 50 anni

Giusto dieci giorni prima della partita del secolo, 17 giugno ’70, italia-germania-quattroatre, ci fu anche la parata. Il secolo è quello scorso, detto anche il breve, e se la prima scelta fu oggettiva perché 120 minuti come quelli dell’Azteca non si erano mai visti e forse nemmeno immaginati, sulla seconda la discussione è aperta. Non fu una giuria a deciderla, e da allora se ne son viste di prodezze di portieri, di miracoli, di salvataggi impossibili. Ma la parata di sempre rimane quella, e chissà se un giorno qualcuno riuscirà a scalzarla.
Azione da manuale
Siamo dunque a Guadalajara, già non un posto qualunque, sono le 12,10 messicane perché anche allora il fuso orario di riferimento, e di fruizione, era quello della vecchia Europa: e pazienza se il termometro di gradi ne segna 38. La partita è Inghilterra-Brasile, campioni in carica contro campioni prossimi venturi. In quei pochi secondi di immagini, riscontrabili su Youtube, si succedono quattro consecutive prodezze. La prima è il lancio a pelo d’erba di Carlos Alberto, terzino del Brasile, per il compagno e ala destra Jairzinho: la palla è colpita di mezzo collo esterno, all’epoca ancora si diceva all’ungherese, e non solo è perfetta per traiettoria ma anche e soprattutto per dosaggio, perché calciata a quel modo arriva come frenata, dunque più controllabile. La seconda dello stesso Jairzinho che la stoppa a seguire, punta e salta l’avversario sull’esterno alla maniera di Garrincha e crossa morbido dal fondo. La terza di sua maestà Pelé, che all’altezza del secondo palo stacca in sospensione e di testa la schiaccia dritta per dritta facendola rimbalzare un paio di metri prima della riga: e subito leva le braccia al cielo perché quello è gol, e che gol a chiudere un capolavoro di azione. Ma è soltanto la terza delle prodezze in serie. La quarta la compie Gordon Banks, campione del mondo a Wembley quattro anni prima, che si arrenderà poi a Jairzinho nella ripresa: ma in quella frazione di secondo trova invece la spinta, innanzitutto, poi il guizzo, infine il colpo di reni per impennarsi in pieno tuffo e andare a deviare – con medio e anulare della mano destra, racconterà poi – quel pallone che rimbalzando a terra si era impennato. Non è gol, è soltanto calcio d’angolo. E mentre Pelé impreca incredulo, e la forza di congratularsi con Banks la troverà solo dopo la battuta del corner, e per i successivi 49 anni, Bobby Moore, libero e leader difensivo dei bianchi leoni, sussurra qualcosa al suo portiere. Due sono le versioni. La prima è, bella parata Gordon. La seconda, stai invecchiando Banksy: una volta questi palloni li bloccavi.
Sicuro di aver fatto gol
Quarantanove. Il tempo che restava da vivere a Banks. Se ne è andato a febbraio di un anno fa, a 81 suonati. Sopravvissuto a un grave incidente d’auto due anni dopo quel Mondiale, con una lesione oculare che ne compromise la carriera, perlomeno ad alto livello. A tenerlo su di morale, tra una disavventura e l’altra, fu proprio Pelé: non c’era visita, o missione, o vacanza in Inghilterra che non contemplasse un incontro con Banks. E se passava troppo tempo c’era pur sempre il telefono. Hello Gordon, sono quello che era convinto di averti fatto gol. Se è per questo, l’immancabile risposta, eravamo in due. Ancora oggi, chiosò Pelé in morte di Banks, non riesco a credere a quella parata. Fu anche, e forse soprattutto, l’amicizia del fenomeno a lenire gli ultimi anni del portiere: costretto persino a vendere all’asta la maglia da campione del mondo del ’66 per tirare avanti. Senza mai piangersi addosso: ricordando semmai il rito di gioventù del venerdì sera, quando il bagno nella tinozza toccava prima al padre e poi ai tre fratelli prima di lui. Un miracolo, sogghignava, se da quell’acqua uscivo meno sporco di prima.
La lezione di Yashin
Era stato il mio idolo di gioventù, ha ricordato spesso Dino Zoff. Che non a caso lo prese a modello nel segno dell’essenzialità. Andavano ancora di moda, a quel tempo, i portieri cosiddetti spettacolo, che discendevano direttamente dall’anteguerra. I voli da palo a palo, le rotolate ad libitum, il tuffo sempre e comunque, ad uso e consumo dei fotografi. Ma c’era stata nel frattempo la lezione del grande Yashin, ed è in quel solco che Banks aveva costruito il suo modo di stare in porta. Il piazzamento innanzitutto: e il tuffo inteso come rimedio a un piazzamento imperfetto, o a una prodezza non prevedibile. Quel giorno Banks seguendo la traiettoria di Jairzinho anticipò di un istante l’intenzione di Pelé di schiacciare frontalmente: se il brasiliano avesse colpito anche più piano ma incrociando, probabilmente ci sarebbero stati meno margini. Ma nel dubbio il suo piazzamento centrale non aveva lasciato scoperto nemmeno l’angolo lontano.