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 2020  giugno 07 Domenica calendario

Inseguendo il boom dei tedeschi

«Ci meritiamo un sorriso», ha detto Giuseppe Conte festeggiando la riapertura dei confini regionali del 3 giugno. Purtroppo c’è poco da sorridere e nulla da festeggiare. All’appuntamento della ripartenza arriva un Paese stremato dal virus. In tre mesi di lockdown è rimasto fermo il 30 per cento del valore aggiunto della Nazione e il 35 per cento della sua forza lavoro. Secondo la Banca d’Italia il Pil 2020 potrebbe crollare del 9 per cento nella migliore delle ipotesi, del 13 nella peggiore. Sono in cassa integrazione 7 milioni di lavoratori, e a fine anno ne potrebbe restare a casa per sempre almeno 1 milione. Il 60 per cento delle partite Iva ha già perso un terzo del fatturato di un intero anno. Quattro famiglie su dieci fanno fatica a pagare le rate del mutuo della casa, quattro cittadini su cinque presentano domanda di prestito statale garantito sotto i 25 mila euro e vengono respinti dalle banche.
Ha ragione il governatore Ignazio Visco: molti hanno perso la vita, molti piangono i loro cari, molti temono per la propria occupazione, nessuno deve perdere la speranza. Ma in che cosa dobbiamo sperare? Con tutta la buona volontà, la settimana appena conclusa promette assai poco per l’estate, ancora meno per l’autunno (e lasciamo stare l’anno prossimo, che è materia per aruspici). Tutti i tentativi fatti per allungare lo sguardo al di là delle nostre miserie quotidiane sono falliti. Il 2 giugno ce lo siamo bevuto in un amen. Il Capo dello Stato ha provato a riempire di senso la Festa della Repubblica, dando voce alla crescente volontà di ripresa e di rinascita che pure esiste nell’Italia profonda. Di fronte al "nemico invisibile", ha parlato di unità morale, di condivisione di un comune destino, di spirito costituente.
Ha chiesto alle istituzioni e ai partiti di non scagliare gli uni contro gli altri le sofferenze provocate dalla malattia, e di non disperdere i sacrifici fatti dagli italiani. Ha scelto Codogno, per commemorare i caduti di questa guerra che nessuno ha voluto combattere e per ripetere quello che sentiamo dire da giorni, e cioè che "insieme ce la faremo". Un messaggio forte, intenso, non retorico per il "dopo Covid". Chi l’ha raccolto? Nelle stesse ore in cui Mattarella ringraziava i nostri eroi civili, i medici e gli infermieri dello Spallanzani, intorno a lui abbiamo scorto un drammatico vuoto. La destra sovranista e senza mascherina ha occupato la piazza urlando il suo cinico "vaffa", alla Repubblica del ’46 e alla Costituzione del ’48, al governo in carica e alle regole sul distanziamento. La sinistra riformista e senza passione non ha occupato nulla, limitandosi alla buona creanza istituzionale dell’elogio quirinalizio di prammatica. Risultato: una grande orazione civile e politica della più alta carica dello Stato derubricata, come al solito, a piccola predica inutile. 
Il giorno dopo ci ha provato il presidente del Consiglio, lanciando la sua versione posticcia di "nuovo inizio". Un appello ai partiti di opposizione, un invito alle parti sociali. Ai primi l’offerta di un "Patto per la Rinascita" da sottoscrivere, alle seconde la proposta di "Stati Generali" da condividere. Ma anche il premier ha abbaiato alla luna. Complice una formula infelice (che ricalca il Piano piduista di Gelli) e una fuga in avanti (che ha spiazzato il Pd e i Cinque Stelle) anche Conte si è ritrovato più solo di prima. Ha chiesto una sponda politica e sociale, perché anche se rifiuta di ammetterlo, non può reggere sulle sue deboli spalle il peso della ricostruzione del Paese. Ma non l’ha trovata. A sua disposizione c’è solo la stampella azzurra di Berlusconi che pur di stare in partita, con Forza Italia in liquidazione e le aziende in affanno, firmerebbe qualunque patto. Fosse pure un redivivo Nazareno, con tanto di ritorno al proporzionale, per svincolarsi dall’abbraccio mortale di Salvini. Per il resto, i ministri democratici lo stoppano e non gli concedono la passarella di Villa Pamphili, perché temono si trasformi in uno spot personale ed elettorale con tanto di architetti, nani e ballerine. La Lega e Fratelli d’Italia non gli fanno un euro di sconto, perché puntano alla spallata definitiva (magari con il fattivo contributo dell’Altro Matteo, cioè quel Renzi che continua a progettare ribaltoni improbabili e immaginare). E la nuova Confindustria di Carlo Bonomi dice di non fare politica ma cavalca la tigre dell’anti-politica, accusando questa classe dirigente di fare più danni del Covid (con scarso rispetto per le povere 33 mila vittime che, con il Covid, ci hanno perso la vita).
Questo è il panorama italiano. Un Paese infermo, un Palazzo malfermo. Che naturalmente, in un momento di già drammatico disagio sociale, non si fa mancare il consueto rumore di fondo della guerriglia a bassa intensità organizzata da gruppi violenti neofascisti, anime perse in gilet arancione e ultrà da stadio in crisi di astinenza. Altra brace, che cova sotto la cenere di un corpo sociale già riarso dalla pandemia. C’è da chiedersi chi possa prevenire l’incendio. Chi possa rimettere ordine in questo disordine. Chi possa elaborare un serio piano di riforme e un vero progetto "di sistema", da proporre e da spiegare non solo alla comunità nazionale, ma anche alla Commissione europea che dovrà erogare gli aiuti dell’ormai mitologico Recovery Fund. Tra maggiore spesa in deficit, contributi Ue e risparmi sugli interessi ricavati dal programma di acquisti della Bce, potremmo avere a disposizione non il solito "tesoretto", ma un gigantesco jackpot da 200 miliardi. Sprecheremo anche questo, o saremo in grado di usarlo per cambiare il profilo e il futuro del Paese? Ancora una volta, facciamo i conti con un pauroso deficit di leadership. Spiace citare la solita Germania, ma giusto tre giorni fa il governo tedesco ha varato quello che il ministro dell’economia Peter Altmaier ha definito "il più grande programma di stimolo di tutti i tempi". Un piano da 130 miliardi, che farà crescere il Pil del 4% e si somma a quello da 353 già approvato a marzo e agli 817 di garanzie statali concesse ad aprile. Niente bonus a pioggia, ma 300 euro in più alle famiglie per ogni bambino. Niente sgravi a questa o quella categoria, ma riduzioni Iva per 20 miliardi. Per il resto, forti incentivi agli investimenti pubblici e privati: nelle reti digitali, nelle infrastrutture, nell’auto elettrica. Per approvare il pacchetto la Cancelliera ha fatto prigioniera la Grosse Koalition: ha chiuso dentro una stanza i leader di Cdu, Csu e Spd, e ha negoziato per 21 ore consecutive (esattamente come faceva Ciampi, da capo del governo nel 1993 e da ministro del Tesoro nel 1996). Poi è uscita, un po’ dimessa come sempre, senza scolapasta in testa e senza movenze da Luigi XVI, ma con il testo dell’accordo definitivo in mano. Pronto per le stamperie della gazzetta ufficiale e per le tasche del popolo tedesco. Il titolo è semplicissimo: "Boom". Quello che noi italiani aspettiamo inutilmente da una cinquantina d’anni.