La Lettura, 7 giugno 2020
Biografia di Alberto Sordi
Diamo per saputo, visto, raccontato, che Alberto Sordi in 146 film, dal 1938 al 1998, è stato il rappresentante dell’italiano medio, osservatore non casuale di tic, manie e psicologie di molti connazionali (non fu mai straniero) che si chiamano Nando Moriconi, tre volte americano a Roma, Giacinto Colonna, Guido Tersilli medico della mutua, Mimmo Adami, Cesarino con la Cleopatra Sophia Loren. E anche Oreste Jacovacci, soldato della Grande guerra, o il sottotenente Alberto Innocenzi, laggiù nel caos dell’8 settembre. E il giornalista di sinistra Silvio Magnozzi dalla vita difficile, Romolo ma anche Remo (discendenti) arrivando al marchese Onofrio del Grillo e ai classici, Nerone (mamma Agrippina fu Gloria Swanson) e Gastone (danseur mondain di Petrolini). E si aggiunge Albert Odisòr nome d’arte nell’avanspettacolo, oltre ai radiofonici di Mario Pio, il signor Dice, il Compagnuccio della parrocchietta e il conte Claro.
Diamo per saputo che, come scrive Walter Veltroni nello special di «Bianco e nero», Alberto è stato «diagnostico, storico, disegnatore, entomologo, sociologo e demolitore dello spirito nazionale». Demoliva costruendo e viceversa, con la complicità di rimpianti maestri come Scola, Risi, Monicelli, Comencini, Pietrangeli, parte di quella irripetibile grande famiglia del cinema italiano di cui Sordi fu uno dei figli prediletti e fortunati anche se diceva «guèra» invece di guerra facendo inorridire l’Accademia dei Filodrammatici, che poi fece atto di contrizione. E anche per chi, come Goffredo Fofi, non stravede per la commedia all’italiana, Sordi fu una «pietra d’inciampo», qualcosa che costringe a ripensarci.
Ma vediamo come e perché il pubblico, dopo un iniziale sbigottimento dovuto a uno spirito surreale in anticipo sui tempi, lo amò moltissimo anche se obbligava a riflettersi in uno specchio non troppo deformante, tanto che al suo funerale andò tutta Roma. Qui il suo non accademico segreto: l’aver seguito e inseguito i suoi personaggi, senza mai renderli patologici, ma sempre sul filo di un equilibrista che guardava la realtà protetto dall’ironia e dal paradosso che nasceva in modo naturale, anche nei casi più socialmente cinici e clinici, come il medico della mutua, imprevisto bestseller. Qui sta il miracolo di un patteggiamento lungo 60 anni di carriera. Scelse dalla folla uomini comuni, allegramente perfidi e infelici, fermandosi sempre un gradino prima dell’eccesso.
Srotoliamo con ordine la matassa, individuando 20 filoni lungo il percorso, con qualche flop qua e là, di 101 film su 146 (senza contare i dischi Fonit con la voce di Ollio, radio, tv e il balsamico inizio nel teatro di varietà).
Dunque, c’era una volta: 100 anni fa, il 15 giugno 1920, nasce in via San Cosimato, Roma trasteverina, Alberto figlio di Pietro, che suona il basso tuba all’Opera, e Maria, insegnante. Ha sempre avuto e dichiarato l’ansia di esibirsi. Oggi molto presente, a 17 anni da una morte sofferta con la discrezione da sempre usata dall’attore per la sua privacy – famose ma invisibili fidanzate e la paura di trovarsi nel letto una sconosciuta che ti accoltella —, lo si ricorda con una fiction tv, saggi, studi, libri. Una mostra a Roma dal 16 settembre prevede, piatto forte, la visita della sua principesca villa in via Druso 45 dove troverà spazio il Museo dedicato al grande attore, che nell’ombroso castello aperto a pochi eletti (Carlo Verdone ne fece un racconto di eccezionale affettuosa ironia) non era certo l’italiano medio.
Quella vena cinica di cui si diceva non si è mai davvero spenta: nel ’92 quando dirige Assolto per aver commesso il fatto interpreta un cialtrone senza una lira che va in giro con parrucchiere, segretaria e assegni postdatati. Un titolo che si iscrive nel discorso sulla giustizia partito dai film a sketch ma che poi fa la voce grossa in Detenuto in attesa di giudizio di Loy e nel surreale Dürrenmatt della Più bella serata della mia vita, capolavoro di Scola in cui Sordi è un altro, attualissimo, trafficante che porta i soldi in Svizzera. È il Sordi delle arti e mestieri, colpendo nel gruppo, che occupa parte della sua vita sul set: è uno dei tre Aquilotti (ufficiale pilota dell’Accademia di Caserta), è Il moralista, Il vigile, Il gondoliere, La guardia, L’avvocato, Il commissario, Il mafioso, Il medico della mutua, Il presidente del Borgorosso, Il tassinaro, Il vetturino: sempre l’articolo determinativo, è un prototipo, anche quando vuole annunciare il tiggì in Guglielmo il dentone (da I complessi). I suoi capitoli sentimentali, seduttore-scapolo-marito-vedovo, sono specchi di sociologia italiana, rispettosi della convenzione: rifiutò Divorzio all’italiana perché temeva di perdere il plus valore della sua simpatia. Fu De Laurentiis, con cui era sotto contrato, a dissuaderlo, mentre lo scritturò come trafficante di bambini nel Giudizio universale di De Sica.
L’italiano medio Sordi è spesso sulla spiaggia (dalla Costa Azzurra a Palma di Maiorca). Se le «sue signore» al cinema sono state straordinarie tutte, dalla Mangano di cui si dice fosse innamorato, alla Masina conosciuta con Fellini, alla verve della Vitti, Franca Valeri fu forse la partner ideale, la milanese che gli dice Cretinetti nel Vedovo e che non si stanca di ripetere quanto fosse professionale, anche se da sempre è pazza di De Sica. E impressionante è il numero di film condivisi da Sordi con De Sica, attore, produttore o regista. Poi lo troviamo spesso alle prese con i problemi endemici della società, facendo passare i messaggi sotto la porta: L’arte di arrangiarsi, Un eroe dei nostri tempi, Il maestro di Vigevano, Lo scopone scientifico, l’episodio anti snob delle Vacanze intelligenti. E il capolavoro di Risi Una vita difficile in cui Sordi è un giornalista progressista, ex partigiano che fatica a farsi strada, e che non gli somiglia socio-politicamente. Ma proprio quando si scontravano la sua indole e quella dei personaggi nascevano i film migliori, quasi contro la sua volontà: Tutti a casa, La grande guerra e Un borghese piccolo piccolo: Monicelli raccontava che Sordi non lo accettò mai come un personaggio negativo.
Amava molto il Moriconi Nando, l’americano a Roma, quello della pastasciutta, perché gli diede il primo successo cult e perché Sordi, che amava viaggiare col cinema, prediligeva l’America tanto che i suoi due progetti mancati riguardano il trombettiere del generale Custer e Henry Kissinger. E poi parte della sua fortuna viene dal concorso Mgm del ’36 per la voce italiana di Oliver Hardy, Ollio: da qui doppiò Mitchum, Quinn, Mature e, in Domenica d’agosto, pure Mastroianni.
Spietato, furbetto, avido, vanaglorioso, presuntuoso, cattivo (Piccola posta, Finché c’è guerra c’è speranza) oppure provinciale come nelle Coppie, Sordi perdeva ogni vizio nell’amato varietà che l’aveva visto, dopo tanta gavetta, star nel ’52 al fianco di Wanda Osiris. Quando Sordi torna al Gran Varietà (lo introdusse) ritrova la natura primigenia esibizionistica in almeno otto film tra cui Polvere di stelle (la sua Recherche) e I nuovi mostri (elogio del Guitto). La passerella fu il suo trampolino di lancio, eppure, dopo tante avventure negli anni di guerra, Sordi non vi volle mai tornare. Garinei e Giovannini lo pregarono invano di prendere, morto Fabrizi, il ruolo del Boia nel Rugantino. Sarebbe stato meraviglioso. Al varietà poi deve l’amicizia e la complicità con Fellini che andò ad applaudirlo con la Masina la sera del 30 ottobre 1943 al cine teatro Galleria: erano sposi da poche ore.
La natura devota dell’attore, avaro per leggenda ma in privato generoso e in cordiali rapporti con Giovanni Paolo II, si esplicita nei film in cui veste l’abito talare: almeno sei più il don Abbondio dei Promessi sposi tv. Inizia con Addio alle armi (uno dei suoi tre remake) dove è l’hemingwayano padre Galli; trasloca nella Roma papalina di Nell’anno del Signore in cui è il fratacchione che tenta di convincere due patrioti ad abiurare, mentre nel Disco volante di Brass impersona quattro ruoli fra cui un buon pretino, che amplia nella Contestazione generale, mentre in Anastasia mio fratello è un prete realmente esistito. Infine gustoso l’episodio di Quelle strane occasioni di Comencini dove un monsignore, in ascensore con Stefania Sandrelli, rompe il voto di castità.
Vita e cinema sono divisi e ordinati nella carriera di Sordi, che rimane un tesoro di anedottica in una storia che lo vide comparsa e poi divo da 8-9 film l’anno: se nel 1942 stava impettito davanti al Barberini a Roma in attesa che qualche spettatore dei Tre aquilotti lo riconoscesse, quando nel ’62 era in Svezia a girare Il diavolo, ottenne l’invito alla serata dei Nobel (l’anno di Steinbeck) ma portò l’operatore Aldo Tonti a riprendere la vietatissima cerimonia poi inserita nel film. Come si vede, cinema di Sordi al quadrato.