La Lettura, 7 giugno 2020
Biografia di Maria Montessori
Da dove cominciare? La vita di Maria Montessori è un tale intreccio che Cristina De Stefano ha reso con fluida precisione e con fedeltà documentaria in Il bambino è il maestro. Si potrebbe cominciare dalla fine, quando la Maria ormai vicina agli ottanta esclama, quasi a illuminare a ritroso la sua biografia: «Voglio l’aiuto di chiunque». Che è un po’ il filo conduttore, uno dei fili conduttori, della sua vita: la ricerca instancabile di sostegni e finanziamenti per la sua grande impresa. Senza sottilizzare, tant’è che quegli aiuti li ha ottenuti via via dai grandi industriali, dai socialisti, dalle gerarchie della Chiesa, dalle piccole comunità cattoliche, da certe baronesse, dalle società teosofiche, dagli impresari americani, dai ministri fascisti e anche a Mussolini in persona, prima della frattura con il regime. Li ha chiesti ovunque, in Italia e in Europa e fuori Europa, a Nord e Sud, a Est e Ovest, richiesta a sua volta ovunque, ammirata, osannata e spesso scaricata. Li ha chiesti ai nemici che sarebbero diventati amici, agli amici destinati a diventare avversari.
Una vita geniale fatta di ostinata tessitura, di strappi e di ricuciture. Un perenne va e vieni da un luogo all’altro, con lunghi soggiorni all’estero simili a esili. A un solo scopo: affermare la straordinarietà del proprio metodo educativo. Per il bene non solo dei bambini ma degli adulti e in fondo dell’umanità. Perché il suo è un percorso tortuoso che la porta da un’esperienza sul campo, molto materiale, a un misticismo spirituale senza compromessi. Un’ascesa che si fa ascesi. Un’ascesa dal nulla, o quasi: la piccola, nata il 31 agosto di 150 anni fa a Chiaravalle (Ancona) da genitori di media borghesia, bocciata più volte alle elementari, viene iscritta alla Regia scuola tecnica di Roma, dove si è appena inaugurata, nel 1883, una sezione femminile adatta a un’aspirante pioniera come lei. Supera con entusiasmo studi che erano quasi interdetti alle donne.
Il talento attoriale, che le si rivela precocemente, le verrà utile in seguito, ma intanto Maria non esita a mostrare il ferreo carattere che non ammette interferenze: e così nonostante i dubbi del padre Alessandro tira dritto verso la strada più scomoda dell’Istituto tecnico. Se la madre Renilde (Stoppani) asseconda le ambizioni di fidanzamento avanzate da un giovane di buona famiglia, lei oppone il primo di tanti rifiuti che faranno argine a ogni progetto di matrimonio. Che non sia tipo da marito lo scoprirà presto, incontrando, attorno ai 25 anni, Giuseppe Montesano, l’unico amore conosciuto, e abbandonato sul più bello.
Ma meglio avanzare con calma nel mare in tempesta che è la biografia di Maria Montessori. Con una premessa: niente e nessuno deve mettere in pericolo i suoi propositi e tanto meno la sua carriera. Che comincia a delinearsi allorché decide di intraprendere la facoltà di Medicina, dove ai maschi che fischiano al suo passaggio risponde: «Più soffiate e più vado in alto». Comincia ad ardere lì, dal basso, la sua vera passione: con il lavoro sul territorio, in una collinetta di diseredati, poi con il volontariato in un ambulatorio per i figli dei poveri. È la sua prima «andata verso il popolo», e non certo l’ultima. In quegli anni succedono un sacco di cose: soprattutto si lega al movimento femminista internazionale, è delegata nel 1896 al congresso di Berlino, dove difende l’associazionismo femminile e il lavoro delle donne. Riscuote successo e d’ora in poi diventa un personaggio pubblico e nessuno riuscirà a starle dietro (con un’eccezione).
Inesauribile. Assistente in ospedale, volontaria per i poveri, militante femminista. Collabora con le filantrope della buona società romana, prende coscienza dei minori che lavorano nei campi o come spazzacamini, di quelli che finiscono per strada a fare l’elemosina o muoiono per malattia. Ma è solo l’inizio. E in questo inizio da infermiera, medico, missionario, c’è anche il collega Montesano, ebreo potentino di cui si innamora, ricambiata. Negli esordi c’è già la contraddizione che caratterizza la lunga esistenza di Maria: lui è brillante, dolce, pacato; lei brillante sì, ma irruente e determinata; lei socialista combattiva, lui quasi ascetico nel rigore morale. Lavorano insieme nella Regia Clinica Psichiatrica, il manicomio in cui la Montessori incrocia i cosiddetti bambini «frenastenici», deboli di mente, anche detti deficienti o idioti. «Maria capisce di aver trovato qualcosa per cui battersi. Come spesso accade nella sua vita, tutto si concentra in un’illuminazione», scrive De Stefano.
È lì che nasce la sperimentatrice e la predicatrice del nuovo verbo pedagogico, specie da quando Maria viene folgorata dalla lettura di Édouard Séguin, un medico francese che mezzo secolo prima è stato fautore di un’educazione speciale con ragazzi affetti da ritardo mentale: diventerà lo suo maestro e lo suo autore, come Virgilio per Dante. Ed è con la figura ideale di Séguin che emerge un altro dei Leitmotiv che percorrono l’esperienza montessoriana: l’esempio magistrale, l’auctoritas che ispira e trasmette conoscenza e passione e che in tal modo dà benzina al motore del progresso scientifico. Montessori è dunque è colei che raccoglie il testimone per passarlo alle nuove generazioni di allieve, via via amate e ripudiate dal suo caratteraccio.
Strano personaggio, in chiaroscuro, a tratti luminosa e altruista, utopista e visionaria, a tratti ritrosa, gelosa delle sue conquiste, sorda, introversa, spesso incomprensibile se non inquietante. Fautrice del libero amore e, insieme, seguace del rigore cattolico più severo. A un certo punto, De Stefano ha ragione a parlare di «doppia morale». Una combinazione esplosiva di genialità, generosità e opportunismo votato a difendere la propria creatura e i propri interessi economici, a salvaguardare i brevetti internazionali dei suoi materiali didattici. Non si può dire che ne venga fuori un personaggio simpatico, certo grandioso e ammirevole. Specie se si pensa al suo progetto rivoluzionario (e precursore per tanti aspetti) che vuole il bambino al centro del processo educativo, nel rispetto della sua personalità, diversa da quella dell’adulto; e nella convinzione che la scuola tradizionale, che lo considera un essere passivo, è inadatta al bambino: l’infanzia invece ha una capacità di costruzione e di creazione nettamente superiore e dunque deve essere libera di esprimere le proprie potenzialità. Nascono da qui concetti nuovi come l’autoeducazione e la valutazione dell’errore. All’adulto non resta che creare le migliori condizioni e stare a guardare in silenzio il miracolo che è «l’anima del bambino liberata dagli ostacoli».
In nome di questo «metodo», ammirato e persino idolatrato nel mondo, Montessori conduce la sua battaglia come donna d’azione e insieme di meditazione, ferma quasi immobile nell’osservazione paziente dei suoi bambini e invece in movimento vorticoso dalle Alpi alle Piramidi e molto oltre per stabilire contatti, nessi, ponti capaci di diffondere il verbo e moltiplicare i luoghi in cui esercitarlo. A una condizione: che sia lei a gestire questa rete, che nulla le venga taciuto, che ottenga le royalties dei materiali educativi e che il suo «metodo» resti intatto. Pretesa, quest’ultima, intollerabile per chi pensa che la scienza, per migliorare, sia soggetta al cambiamento e alla contaminazione. È in quest’inflessibilità che va spesso a frantumarsi il suo megaprogetto utopico: in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi, in Germania, in Spagna, negli Usa, e in Italia, dove ovviamente trova le maggiori resistenze.
Se rischiavamo di dimenticare la sua vita privata è perché per prima, spesso (e malvolentieri?), se ne dimentica lei stessa. Donna emancipata e libera, si libera presto di Montesano, anche dopo aver dato alla luce un figlio comune: Mario. Per anni il rimorso di averlo abbandonato con il padre e la voglia di riabbracciarlo cedono di fronte agli impegni innumerevoli. Mario diventa il «figlio nascosto»: dichiararlo, nel clima moralistico di fine Ottocento, comprometterebbe i suoi sogni di gloria sempre più cosmopoliti. Montessori è la prima donna che si comporta come si comporta abitualmente da sempre un padre in carriera: magari soffrendo, ma sostanzialmente punta tutto sulla sua vita pubblica. Fatto sta che Maria ritroverà suo figlio, ormai quindicenne, nel 1913: con il suo consenso, ma all’insaputa del padre, se lo porta via. Rapimento? Sì, ma senza conseguenze giudiziarie. Mario, ufficialmente suo nipote, la sosterrà in allegria, ne sarà impresario e portavoce, la accompagnerà ovunque in vecchiaia, ne sarà l’unico erede. Avrà dei figli, che durante gli anni della tragedia nazista, pur di seguire sua madre in India, lascerà in mano alla seconda moglie in Olanda. La nonna, che avrebbe dato tutto per i nipoti, doveva dare ancora di più per la sua missione. E finita la guerra, la vecchia Maria e il suo Mario per un anno temporeggiano in India prima di raggiungere i pargoli sopravvissuti chissà come alle macerie.