il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2020
Ponte sullo Stretto, le balle di Renzi
La domanda è legittima: perché Matteo Renzi ha tutta questa passione per il Ponte sullo Stretto di Messina e l’amico costruttore Pietro Salini? Nel 2012 l’allora rottamatore fulminò così il progetto: “Gli 8 miliardi del ponte li dessero alle scuole”. Negli anni ha cambiato idea e oggi parla come ci si aspetterebbe da un lobbista dell’opera: “Il ponte ai nostri figli costerà più non farlo che farlo – ha detto giovedì presentando il suo libro, in cui rilancia l’idea –. C’è una gara vinta con un ricorso di un’azienda che, se non potrà farlo, dovrebbe chiedere i soldi allo Stato”. Difficile inanellare tante balle.
La prima balla è che ci sia il rischio che qualcuno chieda i danni allo Stato: è già successo. La causa l’ha fatta nel 2013 il consorzio Eurolink, guidato dalla Salini Impregilo, che nel 2005 vinse la gara con un ribasso d’asta del 17%, mostruoso per un progetto di cui non si conosceva neanche la fattibilità. Salini ha chiesto 800 milioni di euro di danni alla concessionaria statale Stretto di Messina (Sdm) e a Palazzo Chigi perché nel novembre del 2012 il governo Monti congelò il progetto con un decreto ad hoc riducendo la penale al 10% del valore delle opere realizzate. Vale la pena ricordare che il contratto siglato tra Sdm ed Eurolink nel marzo 2006 (secondo governo Berlusconi) prevedeva un corrispettivo di 3,8 miliardi, salito nel 2011 a 5,2 miliardi. Il ponte, insomma, costa meno non farlo che farlo (seconda balla).
Poi c’è la terza balla di Renzi. La causa Salini l’ha persa a fine 2018, quando il Tribunale civile di Roma ha dato ragione alla Sdm in liquidazione, guidata da Vincenzo Fortunato, e torto al costruttore, disponendo che a Eurolink gli è dovuto il 10% delle spese progettuali realizzate – come previsto dal decreto Monti del 2012 – circa 8 milioni. Salini ha fatto ricorso. Nel frattempo la Consulta, a cui è ricorso il project manager, Parson, ha detto che il decreto non è incostituzionale. Il ponte sullo Stretto non si farà, ma da anni Renzi cerca di sostenere le ragioni dell’amico Pietro Salini per ottenere le penali. Lo fa dai tempi in cui era a Palazzo Chigi, e la Presidenza del Consiglio, da lui presieduta, era citata in tribunale dal costruttore. Quando Salini nel 2012 conquistò la Impregilo fondendola con l’azienda di famiglia era noto a tutti che puntava al risarcimento, già calcolato da anni in 800 milioni, e non a completare l’opera. Il perché è ormai storia. Il progetto del ponte fu congelato a settembre 2006 dal governo Prodi. Nel 2009, tornato a Palazzo Chigi, Berlusconi compì il miracolo. Il presidente di Stretto di Messina Giuseppe Zamberletti e l’ad Pietro Ciucci firmarono ad aprile con Eurolink un “atto aggiuntivo” che, al contrario del contratto originario, faceva scattare le penali – il 10% del valore delle opere non realizzate, secondo il codice degli appalti – anche se il progetto non fosse stato approvato dal Comitato per la programmazione economica (Cipe). Anzi, le faceva scattare proprio in forza della mancata approvazione. Un’aberrazione giuridica rimasta segreta per anni.
Il tribunale ha dato ragione al team legale guidato da Fortunato evitando la beffa. Oggi Salini Impregilo è diventata Webuild, con l’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti, dando vita a uno scenario surreale: lo Stato, tramite una sua controllata, è in causa con lo Stato. Non meno surreale di un ex premier che si comporta da lobbista di un progetto ormai sepolto, che serve solo al suo costruttore.