Tuttolibri, 6 giugno 2020
Quammen: «Siamo figli del virus»
Nel 2012, dopo cinque anni passati a documentarmi e scrivere, pubblicai un libro intitolato Spillover, su nuovi, strani virus e altri patogeni che emergono nelle specie animali e infettano gli esseri umani (l’edizione italiana uscì due anni più tardi per Adelphi, nell’ottima traduzione di Luigi Civalleri). Gli spillover, come oggi tutti ben sanno, possono essere all’origine di epidemie che a volte minacciano di trasformarsi in pandemie. Ma l’argomento di questo diario di scrittura è un altro. Subito dopo aver finito Spillover, rimasi avvinto dall’idea dell’albero della vita.
Di certo non avrei potuto immaginare, mentre scrivevo di Ebola, HIV e SARS, che il mio prossimo libro si sarebbe occupato della revisione di una metafora. Fu Charles Darwin a servirsi per la prima volta di quella metafora – l’albero della vita – per illustrare la storia dell’evoluzione. Nell’albero di Darwin, e in tutti quelli venuti dopo per oltre cent’anni, i rami che rappresentano le diverse linee di creature si dipartono da un unico tronco, divergendo e dispiegandosi verso l’esterno man mano che crescono. Come tutti, conoscevo questo tipo di immagine e la consideravo indiscutibile. Apprezzavo Darwin, nei miei libri mi ero spesso occupato di lui e non potevo prevedere che quello successivo avrebbe esaminato le ragioni per le quali il suo albero della vita era sbagliato – o perlomeno, parzialmente sbagliato – e drasticamente incompleto. Non potevo supporre che avrei narrato la storia di un’oscura e complessa branca della scienza conosciuta come filogenesi molecolare.
Ma poi successero due cose che fecero vacillare le mie certezze e destarono in me un nuovo interesse: lessi qualcosa a proposito di uno strano fenomeno che si chiama trasferimento genico orizzontale; e mi imbattei per caso nella storia di uno scienziato di nome Carl R. Woese.
Carl R. Woese è il più importante biologo del ventesimo secolo di cui non avete mai sentito parlare. Nella primavera del 2013, nemmeno io ne avevo mai sentito parlare. Ma continuando a raccogliere informazioni sul trasferimento genico orizzontale (come? geni che si spostano lateralmente da una specie a un’altra?), incontrai il nome di un altro scienziato, Ford Doolittle. Si trattava, scoprii, di un microbiologo americano che aveva passato la maggior parte della sua carriera in una remota università canadese. Nel febbraio del 2000 Doolittle pubblicò su «Scientific American» un articolo intitolato «Sradicare l’albero della vita» (apparso contemporaneamente su «Le Scienze», edizione italiana della prestigiosa rivista americana). Che roba è questa? pensai quando lo vidi. Leggendo l’articolo, appresi che certe «scoperte fatte negli ultimi anni hanno cominciato a sollevare seri dubbi su alcuni aspetti dell’albero» – in pratica, hanno cominciato a mettere in discussione l’albero della vita di Darwin. E capii subito che Dolittle non intendeva dire semplicemente che era un cespuglio, anziché un olmo o una quercia. No, stava dicendo che i rami, o perlomeno alcuni di essi, erano intrecciati, che si incrociavano tra loro tramite quello strano processo, il trasferimento genico orizzontale. E quelle scoperte che avevano mandato in frantumi il vecchio paradigma, spiegava, erano iniziate con il lavoro di Carl Woese. Quella fu probabilmente la prima volta che lessi il nome di Woese.
All’epoca, come seppi ben presto, Carl Woese era già morto. Se n’era andato appena poco tempo prima, il 30 dicembre 2012. Molte persone che lo avevano conosciuto erano ancora vive: dottorandi che aveva seguito, ricercatori che avevano lavorato nel suo laboratorio, alcuni dei suoi colleghi, rivali e amici di sempre. Uno di questi era lo stesso Ford Doolittle, ma venni a saperlo solo dopo averlo contattato per chiedergli un incontro. Mi aspettavo di trovarmi di fronte un pensatore profondo e brillante, altezzoso e forse inavvicinabile. Ci trovammo in occasione di un grandissimo convegno annuale di microbiologi, e scoprii che era un pensatore profondo e brillante, ma affabile e alla buona. Sì, aveva conosciuto Woese, mi raccontò a cena. Da giovane aveva ottenuto una bosa di studio all’Università dell’Illinois a Champagne-Urbana, dove Woese trascorse la maggior parte della sua carriera. A quel tempo Woese era un giovane professore. Dolittle lavorava in un altro laboratorio, sotto la supervisione di un severo e anziano professore. Lui e Woese avevano più o meno la stessa età e spesso, dopo il lavoro, si rilassavano facendosi una birra assieme in qualche locale senza pretese dalle parti del campus universitario. Sì, quella rivoluzione nel modo di intendere la storia della vita era cominciata con Woese. E sì, disse Doolittle, il trasferimento genico orizzontale rappresentava una parte importante della storia.
Poi Doolittle pronunciò un terzo sì, e ne fui molto contento: sì, signor Quammen, penso che sarebbe un’ottima idea se lei scrivesse un libro su tutta questa faccenda. Lui sarebbe stato lieto di darmi una mano. Cominciò presentandomi a uno dei più cari amici di Woese – anch’egli presente al convegno – e da quel momento passai al setaccio quella rete di contatti per quattro anni come un segugio in cerca di piste.
Il trasferimento genico orizzontale (horizontal gene transfer, in breve HGT) è uno spostamento laterale di materiale genetico da una linea di creature viventi in un’altra. La maggior parte delle persone pensa che sia impossibile, e lo pensavo anch’io prima di cominciare ad approfondire l’argomento. Il patrimonio ereditario viene trasmesso in linea verticale, dai genitori alla prole – è questa l’opinione canonica. Ma non sempre le opinioni canoniche sono corrette. Effettivamente, il patrimonio ereditario di solito viene trasmesso in linea verticale, ma non sempre. Uno spostamento laterale di geni può introdurre nei genomi nuove e significative opportunità – come nel caso del gene «sincitina-2», che è entrato a far parte del genoma dei mammiferi attraverso un episodio di infezione virale, poi si è evoluto lentamente, è stato cooptato e ha cominciato a produrre una particolare membrana che si trova tra il feto e la placenta materna. Quel gene derivato da un virus, la sincitina-due, è oggi fondamentale per portare felicemente a termine la gravidanza negli esseri umani.
In creature semplici come i batteri, il materiale genetico è trasmesso in linea verticale quando una cellula si scinde in due, che ricevono entrambe lo stesso corredo di geni. Ma a volte i geni si spostano anche lateralmente, da un tipo di batterio a un altro. Per esempio, dallo Streptococcus pneumoniae allo Staphyilococcus aureus, che sono molto diversi da un punto di vista genetico: oplà, uno schizzetto di DNA nuovo. Questo fenomeno spiega come mai la resistenza agli antibiotici nei batteri si sia diffusa così rapidamente nel mondo, manifestandosi in un ceppo batterico dopo l’altro: ha viaggiato attraverso HGT, che è molto più veloce rispetto all’evoluzione per mutazione e selezione naturale.
La prima volta che lessi dell’HGT, la mia reazione fu di perplessità e dubbio, come accadrà probabilmente a voi: Cosa?! Ma è impossibile. Invece è possibile. È successo in passato, con enormi conseguenze, e continua a succedere. Le tracce sono ben visibili nei genomi di varie creature, compresi gli esseri umani, ora che gli scienziati hanno imparato a leggere e confrontare quei genomi, grazie a metodi di sequenziamento genomico automatizzati e computer sempre più potenti. È questo il lavoro della filogenesi molecolare, praticata da scienziati come Ford Doolittle e Carl Woese: costruiscono alberi della vita, con rami che rappresentano l’evoluzione di linee differenti da antenati comuni. Perlopiù quei rami divergono, come hanno sempre fatto nell’albero della vita di Darwin. Ma adesso siamo in grado di vedere che alcuni di quei rami convergono, un ramo cresce lateralmente e si fonde con un altro. L’albero è intrecciato. Come recita il sottotitolo del mio libro, si tratta di una nuova e radicale storia della vita.
Il lavoro su questo libro ha impegnato nel complesso cinque anni della mia vita, come era stato per Spillover. Di solito, quando mi documento per un libro, mi ritrovo a seguire gli scienziati in foreste e paludi, sulle montagne, nelle grotte o negli habitat di strani animali, dalle tigri siberiane ai coronavirus. Lavorare a un libro sulla ridefinizione dell’albero della vita è stato più complicato, perché al posto delle foreste e delle grotte c’erano solo uffici, laboratori e archivi. Le montagne da scalare erano teorie, concetti e dati, e gli strani animali scienziati profondi ma irritabili, come Karl Woese e Lynn Margulis, e bizzarri genomi rimescolati. È stata una sfida nuova per me, ma si è trattato di un gran bel viaggio. Spero lo sia anche per voi.
(traduzione di Milena Zemira Ciccimarra)