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 2020  giugno 06 Sabato calendario

Intervista a Maria Grazia Chiuri

«In questo periodo abbiamo vissuto come in un limbo, con profonde insicurezze, momenti di ansia e sprazzi di ottimismo. Una situazione più da film di fantascienza che reale. Ovvio che tutto ciò si sia riflesso anche nell’abbigliamento, specchio dei nostri stati d’animo. Detto questo, io non penso che nel futuro ci vestiremo in modo più semplice e sobrio. Credo che dipenderà sempre dal nostro umore. Tenendo presente che il compito di noi stilisti si riassume in una perenne ricerca della gioia», spiega Maria Grazia Chiuri - da 4 anni direttrice artistica delle collezioni donna di Dior- reduce da un’atipica quarantena che racconta quanto le sia stata utile. «Ho trascorso un lungo lockdown a Roma con mia figlia (Rachele Regini, 23 anni ndr.) e una sua amica, perché tornavamo da Parigi. Mentre mio figlio e mio marito erano sempre a Roma, ma in un’altra casa. Ed è stato molto interessante osservare come noi tre avessimo modi diversi di reagire. Soprattutto nel vestire. Mi sono accorta, con gran piacere, della voglia di vivere, del bisogno di bellezza delle ragazze che ogni mattina si prendevano cura del loro aspetto. E questa sensazione di ottimismo che emanavano mi ha influenzato positivamente. E’ stata una sferzata di energia. Abbiamo parlato di tutto, film, musica, amori... Rachele è stata bravissima, ha sempre cucinato, con un’escalation magistrale. Mi piace molto lavorare con lei. Essere a contatto con le nuove generazioni per il mio mestiere è importantissimo».
Rachele è «Cultural advisor to creative director» da Dior, che cosa significa?
«Fa parte di un team con altre tre ragazze dai 20 ai 30 anni che mi supportano su progetti e collaborazioni culturali. Hanno fatto super università con studi sulla moda approfonditi. Rachele, infatti, è laureata in storia dell’Arte con un Master in Gender Media and Culture alla Goldsmiths University di Londra. Diversamente da me che ho una formazione accademica classica, basata più sulla tecnica degli abiti».
E’ vero che oggi i giovani danno meno importanza alle griffe?
«Conosco diverse tipologie di giovani. Mia figlia ama la moda, mio figlio no. Il contrario vale per i miei nipoti. Tutto è soggettivo. Di fondo, però, i giovani sono più attenti, consapevoli e molto informati sulla sostenibilità. Un aspetto che in questo periodo di pandemia non è stato rispettato. Vedo tante mascherine e guanti buttati per strada e mi chiedo come verranno smaltiti. La sostenibilità mi sta molto a cuore. E’ basilare per il futuro». 
Che cosa è diventato oggi il lusso?
«Dior è un’azienda che produce oggetti di lusso di altissima qualità, grazie al savoir faire italiano e francese, con un’artigianalità che ha costi elevati. Ma il concetto di lusso è molto personale. Può anche essere prendere il sole in libertà sul terrazzo. E’ sbagliato generalizzare. Per me, dopo il lockdown, è stato fare una lunga passeggiata sull’Appia Antica, godendomi la bellezza di una città che amo, così meravigliosa in ogni suo angolo. Un’emozione immensa ».
Ora, nel post pandemia, il potere d’acquisto si è molto ridimensionato, orientandosi su beni di prima necessità. Questo nuovo assetto, che avrà una grande ricaduta sul mercato del lusso, la preoccupa?
«Mi preoccupa la crisi economica dal punto di vista sociale, il fatto che tanta gente ha perso il lavoro o guadagnerà meno e dovrà abbassare il suo stile di vita. Non sono un’economista, ma credo che l’unica cosa da fare sia impegnarsi seriamente, ognuno nel proprio settore, per sostenere l’imprenditoria del nostro Paese creando nuove opportunità. In questo momento abbiamo due gravi problemi: la salute e l’economia. Non è poco».
Lei è una stilista tosta, da sempre si batte per i diritti femminili, non solo con un linguaggio estetico, ma anche attraverso eventi e incontri. Oltre che esprimendo le sue idee progressiste. Lo smart-working per noi donne è una conquista o un passo indietro?
«Sono molto critica sull’argomento smart working, credo sia pesato molto sulle spalle delle donne. Lavorare da casa dovendo gestire anche le incombenze quotidiane, i compiti e il tempo libero dei figli è faticosissimo. Il pericolo è che si torni a relegare le donne fra quattro mura. E non mi piace. Deve essere una scelta, non un’imposizione. Tante delle nostre dipendenti hanno bambini piccoli, mi sono accorta durante le video chiamate quanto fossero in difficoltà. Esaurite da troppe responsabilità, senza disporre di un angolo privato. Non è giusto perdere l’indipendenza conquistata con immensi sacrifici. Dobbiamo opporci, tanto più adesso che, con la crisi, per noi donne ci saranno meno opportunità lavorative. Anche in settori dove ormai erano consolidati. Mi è mancato tantissimo il rapporto diretto con il mio staff. C’è un tempo di riflessione per creare in solitudine, ma poi ne occorre un altro per confrontarsi vis à vis».
Molti sostengono che i marchi del lusso abbiano prezzi esagerati, pensa che si potranno abbassare?
«Attuare adesso questa politica mi pare utopistico, dato che le aziende devono affrontare molte spese per sanificare, organizzare turni che rallentano i temi di produzione e applicare una serie di regole che vanno rispettate, ma richiedono notevoli investimenti». 
Gucci ha tagliato le sfilate, ne farà solo due all’anno e non durante i calendari ufficiali, da Dior che cosa accadrà?
«Ogni marchio agisce in base alle sue esigenze e alla sua storia. Noi per ora seguiamo le solite scadenze. La moda non è un unicum. L’importante è esser coesi per sostenere il sistema italiano e francese. Adesso l’obiettivo è portare a termine la collezione couture organizzando al meglio il lavoro degli atelier. Poi vedremo come presentare gli abiti. Non dobbiamo più pensare a lungo termine, ma ragionare step by step. In base agli eventi». 
A lei piace la formula delle sfilate online?
«Per ora, date le restrizioni, non ci sono alternative. Ma non sarà per sempre. La moda devi vederla, toccarla, viverla, è un’esperienza. E’ come dire se ti piacerebbe andare al ristorane online. Non si può fare tutto online. Se devo comprami un vestito non lo faccio su internet, devo provarlo, discuterlo con chi me lo vende... Amo anche il rito dell’acquisto. Forse sono una nostalgica».
Come mai da Dior la chiamano la signora «No-no-no»?
«Tendenzialmente la mia risposta, subito, è no, no, no (e mentre lo dice ride, ndr.). Perché sto sulle difensive, voglio riflettere, devo capire bene, poi magari ci ripenso, oppure ribadisco il mio no. Certo è che subito non dico mai di sì».