Qual è la sua proposta?
«Prendiamo l’Italia, che ha già un rapporto tra debito pubblico e Pil pari al 130%. Nel prossimo futuro la percentuale potrebbe salire al 160%.
Dobbiamo evitare che le agenzie di rating facciano precipitare l’Italia in una spirale di spread crescenti. La mia proposta è quindi di separare il 130% del debito già accumulato che appartiene al settore privato dal surplus del 30% che sarà nelle casse della Bce attraverso il programma di riacquisto. L’obbligo di rimborso dello Stato italiano non è di fatto lo stesso nei confronti dei finanziatori privati che nei confronti della Bce».
Cosa dovrebbe fare la Bce?
«La logica suggerirebbe la cancellazione del debito detenuto dalla Banca centrale, almeno in parte. Ma è chiedere troppo al sistema finanziario e al suo conformismo. Ci sono anche controargomentazioni legali — “pacta sunt servanda” — difficili da contrastare, soprattutto nei confronti dei tedeschi. Ripeto: sarebbe la soluzione migliore. In circostanze straordinarie, misure straordinarie».
A molti sembrerà una provocazione.
«Ne sono consapevole. Prendiamo quindi una via più semplice. La Bce dovrebbe scambiare i buoni del Tesoro con titoli perpetui a basso interesse. E aggiungo: se l’idea di perpetuità provoca un rifiuto ideologico, allora diciamo con titoli a 50 e 100 anni. Il debito pubblico sarebbe così suddiviso in due comparti: il debito detenuto da operatori privati attenti alla solvibilità dello Stato debitore con agenzie di rating in allerta e spread rappresentativi. E il debito pubblico perpetuo o a lunghissimo termine, che non peserebbe sulla solvibilità del debitore».
Crede davvero che ci sarà ascolto per questa idea?
«Così com’è stata accettata l’idea iconoclasta dell’helicopter money, vedrete che nei prossimi mesi il dibattito ruoterà intorno alla monetizzazione del debito seguita da una parziale cancellazione della sua quota pubblica, o del suo rinvio alle calende greche. È una trasformazione che accadrà , ma senza dirlo. Esplicitando questo meccanismo monetario, è la mia tesi, potremmo rassicurare agenzie di rating e mercati».
Il Recovery Fund non è sufficiente?
«Sono molto colpito dal modo in cui la Germania ha abbandonato tutta la sua doxa in seguito alla crisi del coronavirus. Ha gettato via i criteri di contenimento del bilancio, ha accettato gli aiuti di Stato. Rimaneva l’ostacolo della mutualizzazione del debito. L’idea degli eurobond non sarebbe mai passata. La Germania ha già infranto molti tabù. La soluzione che fa passare l’indebitamento per il bilancio dell’Unione è la più ragionevole».
La pioggia di miliardi basterà?
«Se prendiamo i 500 miliardi dell’iniziativa franco-tedesca, abbiamo il 3% del Pil europeo. Se aggiungiamo l’effetto leva degli altri prestiti e investimenti, in termini di moltiplicatore keynesiano, penso che possiamo davvero essere soddisfatti. Resta da vedere come saranno spesi questi soldi. Non dovrebbero servire solo per costruire ospedali».
Come andrebbero spesi?
«Il vero problema è che ogni crisi provoca una risposta che non anticipa la crisi successiva. Nel 2008 abbiamo rafforzato la liquidità e la vigilanza del sistema bancario. E infatti, questa volta, le banche hanno potuto far fronte al crollo dell’attività economica durante l’emergenza sanitaria. Nella prossima crisi avremo un sistema sanitario che funzionerà molto meglio, ma probabilmente l’urto colpirà altrove. Penso, ad esempio, che il peggio che ci potrebbe capitare sia l’esplosione di Internet, un blackout di giorni della Rete potrebbe mettere in ginocchio i nostri Paesi. E non siamo assolutamente pronti contro questo pericolo».