la Repubblica, 5 giugno 2020
La sanità bloccata farà più morti del Covid
Il servizio sanitario è una macchina enorme, che ogni giorno macina decine di migliaia di prestazioni. Fermarlo per quasi tre mesi significa lasciare indietro milioni tra interventi chirurgici, visite specialistiche, esami radiologici e del sangue e quindi allungare di molto le liste d’attesa. Ma interrompere l’assistenza sulle patologie importanti può avere conseguenze anche più drammatiche. «Questa emergenza rischia di diventare più grave di quella del Covid. Se non facciamo ripartire tutta la sanità, le vittime potrebbero essere più di quelle provocate dal virus». A mettere in guardia sui rischi che corre l’Italia è Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) e primario al San Camillo di Roma. Stima che durante il lockdown siano saltati ben 600mila interventi chirurgici, tra i quali almeno 50mila oncologici.
Impegnato a recuperare il tempo perduto, tra l’altro, c’è una sistema che ha vissuto il più grande stress della sua storia. Ci sono medici e infermieri che hanno lavorato giorno e notte per tre mesi, accumulando stanchezza e straordinari e spesso ammalandosi pure. Ora la prospettiva non è quella di riposarsi. No, adesso giungono le richieste di tutti i malati che non si sono fatti vedere a marzo, aprile e maggio, magari perché impauriti dall’idea di prendere il Covid oppure perché i loro appuntamenti erano stati cancellati. Sono 3 milioni solo coloro che hanno bisogno del cardiologo, 12 milioni quelli che devono fare un esame radiologico. Non sarà un’estate di relax per i lavoratori della sanità.
Secondo Marini si rischia il disastro. «È una situazione mai affrontata prima. Con la chiusura delle sale operatorie, con gli ospedali, almeno all’inizio, non attrezzati a percorsi Covid o completamente occupati dall’emergenza del virus, il nostro lavoro si è interrotto quasi del tutto». Quando l’Italia era chiusa, l’attività sarebbe scesa anche dell’80%. Preoccupa il meno 50% delle operazioni oncologiche. «E nel nostro Paese abbiamo circa mille nuovi casi di cancro al giorno», aggiunge Marini, che chiede investimenti rapidi e importanti sulla sanità, sia per assumere che per acquisire nuove tecnologie.
Governo e Regioni dovranno trovare rapidamente soluzioni, economiche e organizzative. «Dobbiamo tentare il recupero. Ma se anche lavorassimo il 20 per cento più di prima, impiegheremmo 11 mesi a raggiungere una cifra di interventi accettabile, che colmerebbe il divario che si è creato. Non è fattibile. Le conseguenze di questo accumulo sono spaventose».Inquietano anche gli effetti dello stop agli screening oncologici. Secondo una ricerca del centro studi Nomisma di Bologna, a settembre, complice anche il fatto che in agosto questa attività praticamente si interrompe, ci saranno 4 milioni di esami di screening da fare entro dicembre. Cioè i due terzi del totale dell’anno. A ostacolare il recupero delle liste d’attesa, in questo campo come negli altri, c’è il fatto che ambulatori e reparti non possono ancora viaggiare a pieno regime. Si stima che le misure anti coronavirus, rib adite ieri dal ministero della Salute nelle linee guida per le riaperture, riducano tuttora del 20-30% l’attività. Questo perché bisogna dare appuntamenti più distanziati ai pazienti per evitare incontri in sala d’attesa, perché si devono sanificare apparecchiature e locali dopo ogni esame o visita, eccetera.
E sempre Nomisma ha analizzato il calo dell’attività chirurgica durante il lockdown, stimando quanti interventi sono saltati senza considerare quelli urgenti, quelli ostetrici e quelli oncologici, che – come visto dai dati di Marini – comunque sono slittati. Ebbene, tra marzo e giugno sono destinate a saltare circa 410mila operazioni. Quasi mezzo milione se si contano anche quelle contro il cancro riferite dai chirurghi. Gli effetti si vedranno a breve. «Per un intervento programmato di bypass coronarico o di angioplastica coronarica, dove l’attesa media nazionale si aggira intorno ai 20-25 giorni, i tempi potranno raggiungere i 4 mesi, mentre per un impianto di protesi d’anca l’attesa potrà raddoppiare superando i sei mesi», dicono Maria Cristina Perrelli Branca e Paola Piccioni, analiste di Nmisma.
Chi ha già visto gli effetti del lockdown sono i cardiologi, perché si occupano anche di urgenze. «Abbiamo avuto la metà di ricoveri di pazienti con infarto miocardico rispetto all’anno scorso – dice il presidente della Società italiana di cardiologia, Ciro Indolfi – E tra chi si è ricoverato, la mortalità è triplicata». Qualcuno non è andato in ospedale malgrado i sintomi, e tra quanti lo hanno fatto c’è chi si è presentato troppo tardi. «In buona sostanza, siamo tornati indietro di vent’anni».