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 2020  giugno 05 Venerdì calendario

Calano i prezzi dei prodotti agricoli, cresce la fame

Il cibo è abbondante e sempre più economico a livello internazionale, ma il carrello della spesa rincara e la fame rischia di colpire altri milioni di persone nel mondo. È l’ennesimo paradosso dell’epoca del coronavirus, che ha sconvolto non solo i nostri stili di vita, ma l’intero sistema economico globale, creando squilibri e inefficienze mai sperimentati in precedenza.
Il Food Price Index della Fao, che riflette i prezzi dei generi alimentari, a prima vista lascia perplessi: a maggio – secondo l’ultimo aggiornamento, pubblicato ieri – è sceso ancora, per il quarto mese consecutivo, e a 162,5 punti è al livello più basso da dicembre 2018, in ribasso dell’1,9% da aprile e dell’11,2% da gennaio, quando il virus non aveva ancora varcato i confini della Cina. La pandemia ha sconvolto le supply chain e minaccia di far marcire i raccolti per mancanza di braccianti agricoli, ma l’indice Fao rileva prezzi in continua discesa per i cereali come per i latticini, per le carni come per gli oli vegetali. Solo lo zucchero rincara su base mensile, ma ad aprile era ai minimi da 13 anni. 
La leggendaria casalinga di Voghera penserebbe di trovarsi di fronte a un termometro guasto. Gli alimentari sono l’unica voce dell’inflazione che è salita ovunque con la pandemia. Negli Usa addirittura ha registrato il balzo più forte dal 1974 ad aprile (+2,6% mensile, a fronte di un ribasso complessivo dei prezzi al consumo dello 0,8%). La tendenza non riguarda soltanto le economie sviluppate. E nelle regioni più povere del mondo rischia di sfociare in una tragedia umanitaria.
Secondo il World Food Programme (Wfp), la crisi da coronavirus potrebbe raddoppiare il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare, a 265 milioni. Il cibo in teoria non manca, ma per molti è poco accessibile, osserva Martien van Nieuwkoop, responsabile Agricoltura e cibo della Banca mondiale: «Vediamo aumentare la fame in un mondo dove c’è abbondanza, i mercati agricoli sono ben riforniti e relativamente stabili». L’istituzione teme che la crisi post Covid possa ridurre 60 milioni di individui in povertà estrema.
La stessa Fao a maggio aveva lanciato un appello per raccogliere 350 milioni di dollari per rafforzare la lotta contro la fame: «Nei Paesi già colpiti in modo acuto dalla fame la gente fatica sempre di più a procurarsi cibo perché le entrate crollano e i prezzi alimentari salgono».
Sono le caratteristiche del Food Price Index a spiegare l’apparente contraddizione. La complessa metodologia di calcolo dell’indice tiene conto di 73 serie di prezzi relative a 23 commodities, ma si tratta pur sempre di valori a livello internazionale, che non riescono a riflettere quello che accade a valle della filiera: sugli scaffali dei nostri supermarket o nei mercati polverosi dell’Africa. E il Covid-19 ha innescato fenomeni complessi da decifrare, oltre che da contrastare.
I prezzi al dettaglio salgono soprattutto a causa del caos logistico e della carenza di manodopera nei campi. Ma i prodotti agricoli all’origine risentono di numerosi fattori ribassisti, anch’essi scatenati dal coronavirus, molti dei quali hanno a che fare con l’energia. Il crollo dei consumi di benzina e diesel ha tolto di mezzo una buona fetta della domanda di mais, canna da zucchero e oli vegetali, utilizzati per i biocombustibili. Negli Usa un terzo del raccolto di mais di solito serve a distillare etanolo, ma ad aprile questo impiego è diminuito del 40% secondo l’Usda. Anche l’uso di cereali e soia per i mangimi animali ha subito una contrazione : la chiusura dei ristoranti ha colpito le vendite di carni e molti macelli, specie negli Usa, hanno sospeso l’attività in seguito a contagi. Il crollo dei prezzi di petrolio e gas ha inoltre fatto diminuire i costi produttivi in agricoltura: i fertilizzanti ad esempio costano meno.
La pandemia aveva anche scatenato politiche protezioniste in alcuni Paesi esportatori, che temevano carenze di cibo. Ma ora le misure sono state revocate, eliminando un fattore che avrebbe potuto provocare tensioni sui prezzi e aggravare il rischio di crisi alimentari.