Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2020
Traffico illecito di rifiuti da 20 miliardi
È la storia di un business criminale che solo in Italia vale 20 miliardi di euro annui, poco più di un punto percentuale del Pil. La narrazione di una colossale frode, che in parte riguarda anche i paesi dell’Africa nera, due volte vittime del ciclo illecito dei rifiuti prodotti in Italia e Unione europea. Da una parte c’è il traffico di plastiche e gomme, smaltite nelle megadiscariche senza regole dell’area sub-sahariana, dall’altra la milionaria rivendita a vari governi – tra i quali Mali, Senegal, Burkina Faso e Mauritania – di moduli fotovoltaici nuovi solo sulla carta. Perché nei fatti si tratta di pannelli solari ormai esausti, dei rifiuti prelevati anche dall’Italia e rivenduti come nuovi. Un modo per le organizzazioni criminali di intascare i finanziamenti del programma multinazionale varato dalla Banca africana per lo sviluppo (in cui risultano stanziamenti Ue), che entro il 2025 intende portare elettricità a 900mila abitanti in vari paesi.
Il “sistema” rifiuti
Si tratta del “sistema” rifiuti. Carte false, funzionari doganali esteri corrotti e inesistenti normative ambientali di paesi extracomunitari sono il campo da gioco degli “intermediari” di rifiuti, faccendieri italiani e magrebini a metà strada tra broker e spie internazionali. Personaggi da romanzo giallo, alcuni anche in possesso dell’Aia (Autorizzazione impatto ambientale), in grado di gestire il traffico dei rifiuti dall’Italia e dall’Ue, oliando le diplomazie degli Stati del terzo mondo con le tangenti. Un meccanismo che sta creando un grave danno al settore lecito e alla libera concorrenza.
La Tutela ambientale
I carabinieri della Tutela ambiente – reparto d’élite nella caccia alle ecomafie al comando del generale di brigata Maurizio Ferla – stanno mappando questo “sistema” che, a livello Europeo, riesce movimentare annualmente 260 miliardi, poco più della metà della capacità di prestito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità). Secondo il Policy Cycle 2018-2021 – il documento Europol sulle principali minacce criminali – è un comparto dell’industria illegale con un indotto tra i più redditizi, quarto dopo il traffico di droga, la contraffazione e la tratta di esseri umani. I numeri presentati oggi, in occasione del Centenario della prima medaglia d’oro alla bandiera dell’Arma, disegnano quella che ormai appare una emergenza: in poco più di quattro mesi, da gennaio al 25 maggio scorso, sono stati compiuti sequestri per un valore di 41.770.000 euro. Non solo: in tutto il 2019 i sigilli hanno riguardato una somma pari a 230.181.233 euro.
I costi
Ma cosa c’è dietro questo business, perché questa formidabile crescita? Sicuramente i costi evidentemente alti dello smaltimento lecito dei rifiuti hanno dato impulso a una industria parallela. Camorra, mafie estere, faccendieri italiani e spedizionieri magrebini senza scrupoli hanno fiutato l’affare miliardario. Perché nei fatti il ciclo illecito dei rifiuti ha un vantaggio per l’impresa che non intende sostenere spese cospicue. Facciamo un esempio. Una tonnellata di plastiche e gomme per essere regolarmente smaltita può costare tra 200-250 euro. Seguendo la via illegale la spesa non supera 100-150 euro.
Maggiore, invece, è la convenienza per i Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche): lo smaltimento di una tonnellata, per esempio di pannelli fotovoltaici esausti, costa 400-500 euro. L’intermediario è però in grado di far fruttare questi materiali inquinanti: attraverso la falsificazione delle matricole e un giro di fatture per operazioni inesistenti, i pannelli sono riciclati e fatti apparire come usati ma ancora funzionanti o anche nuovi. Così, una tonnellata non solo ha zero spese di smaltimento ma anzi porta a guadagni fino a 50mila euro, grazie alla vendita fatta in paesi africani. Proprio per questo i traffici transfrontalieri di Raee rappresentano una emergenza.
I Raee
Lungo tutta la dorsale tirrenica sono presenti enormi magazzini gestiti soprattutto da magrebini: l’intermediario-faccendiere tratta con imprese dislocate soprattutto tra Sicilia, Puglia, Marche, Umbria, Abruzzo, Trentino Alto Adige, Toscana e Piemonte per acquisire pannelli fotovoltaici esausti, che poi sono custoditi nei magazzini.
La successiva falsificazione delle bolle e dei codici, trasforma quelli che sono rifiuti in pannelli usati o nuovi. Quando non sono sequestrati, dai porti di Napoli, Venezia e Ancona – passando in alcuni casi da Valencia in Spagna – i container carichi di tonnellate di pannelli fotovoltaici esausti transitano indisturbati dalle frontiere magrebine grazie a prezzolati funzionari doganali, per poi essere inviati nell’Africa nera, tra Mali, Senegal, Burkina Faso e Mauritania.
La frode ai paesi Africani
Gli accertamenti si fermano al traffico. Ma gli atti investigativi di una inchiesta dei pm Bologna e della Tutela ambientale, fanno luce sul ruolo di broker magrebini che fanno incetta di pannelli solari esausti in Italia per poi immetterli nel circuito dei parchi fotovoltaici africani. Un business che sta parassitando non solo sui finanziamenti della Banca africana ma anche sugli incentivi erogati dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile in Africa per la lotta alla povertà energetica.