La Stampa, 4 giugno 2020
Storia delle "signorine" in banca
Le prime «Signorine» entrano in banca negli anni della Grande Guerra, in sostituzione degli uomini impegnati al fronte. I loro contratti sono però estremamente precari, con stipendi equiparati a quelli dei lavoratori fino ai 18 anni, e pochi diritti. Fino agli anni Sessanta le donne devono infatti presentarsi al lavoro con un grembiule bianco o nero, per evitare che gli uomini possano essere distratti dalle forme del loro corpo. Non possono mettersi il rossetto, lo smalto sulle unghie o avere gonne troppo corte, e anche l’acconciatura deve essere «adeguata» al loro impiego. La femminilità va nascosta, quasi annientata.
In ufficio si rivolgono con il «voi», e nel momento in cui decidono di sposarsi per loro arriva il licenziamento. Solo il 9 gennaio 1963 entra in vigore il «divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio», a quasi cinquant’anni dal loro ingresso in banca. È questo il motivo per cui alcune di loro decidono di spostare le nozze di mesi o addirittura di anni: non tanto per una rivendicazione femminista quanto per una necessità economica. «In quegli anni la società non accettava che una donna sposata avesse un lavoro – dice Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico del gruppo Intesa Sanpaolo, che racchiude i patrimoni di diverse banche italiane e che da domani a lunedì parteciperà al Festival Archivissima –. La parola "Signorine", che compare anche nei documenti ufficiali, nasce infatti da un lato per una questione di rispetto, dall’altro per specificare che una volta diventate "signore" la loro carriera sarebbe finita». È infatti solo nel 1963 che Olga Agalbato riesce ad ottenere il ruolo di funzionario in Cariplo: è la prima in Italia ad avere un avanzamento di carriera. Un importante traguardo se pensiamo che ad esempio nel 1931 Luigia Mauro firma un contratto con Imi in cui c’è scritto che le sue mansioni «possono essere varie a seconda delle esigenze del servizio».
Le loro storie sono tante, come quella di Rita Montagnana, la prima moglie di Togliatti, che lavora nella filiale Comit di Torino da febbraio a dicembre del 1916. Nelva Vignoli è invece una delle tante spose rimaste disoccupate: «Il lavoro era il mio conforto, l’ufficio la mia famiglia, perché sola al mondo. Nel 1928 lasciai l’impiego per contrarre matrimonio, ma purtroppo venni presto abbandonata», scrive nel 1964 alla direzione della Banca Commerciale Italiana. Dieci anni prima Anna Maria Bernardi aveva tentato una mossa quasi disperata, chiedendo aiuto all’Arcivescovo di Milano perché intercedesse in suo favore per non farle perdere il posto di lavoro. Ma il suo appello rimane inascoltato.
La sua vita come quella di tante altre lavoratrici in banca sono al centro di tre contenuti dell’edizione digitale di Archivissima di quest’anno curati l’archivio storico di Intesa Sanpaolo. Che parteciperà alla mostra «Epoché» con contributi dalla Prima Guerra Mondiale al 1960, e con due podcast fruibili a partire dalle 18 domani sul sito e sui canali di Archivissima con la voce di Eliana Liotta dedicati alla vita delle «Signorine». «La loro è stata una battaglia lenta, che le ha viste conquistare giorno dopo giorno i propri spazi senza troppi scossoni o agitazioni sindacali – dice Costa – e queste storie viste con gli occhi di oggi ci raccontano la loro grande forza e resilienza per costruire un futuro migliore del presente». —