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 2020  giugno 04 Giovedì calendario

L’hotel cinque stelle che riapre a Milano

Incognita voli, confini chiusi, turisti fantasma. A Palazzo Parigi le camere occupate sono soltanto una decina ma la novità è paradossalmente proprio questa: da ieri l’albergo a cinque stelle milanese a pochi passi dal Quadrilatero della Moda ha rialzato la claire. Prima del Ritz di Parigi in place Vendôme, prima del Four Seasons di Londra a Park Lane, proprio nella città focolaio d’Europa, indicata in tutto il mondo come lazzaretto Covid alla stregua di Wuhan. «Se Milano è una Ferrari rimasta in garage per mesi, per farla ripartire serve la benzina – spiega l’architetto Paola Giambelli, proprietaria del grand hotel —. E la benzina oggi è l’audacia di chi prova a riaccendere il motore». 
Di 22 alberghi di lusso a Milano, solo due hanno già riaperto dopo il lockdown: Palazzo Parigi, appunto, e Il Me Milan Il Duca in piazza della Repubblica (Meliá). Le altre strutture di lusso – Principe di Savoia e Excelsior Gallia in testa – o aspetteranno il primo luglio, o non hanno ancora fissato una data per richiamare i dipendenti in servizio. O, ancora, hanno riaperto solo ristorante e caffè, come il Mandarin Oriental. «Per far quadrare i conti, un albergo di lusso dovrebbe riempire almeno la metà delle camere», spiegano da Federalberghi. 
Ma quello che serve adesso è un propulsore psicologico, nel settore più colpito dalla crisi, con nove dipendenti su dieci in cassa integrazione a livello nazionale: «Ci vuole tanto coraggio per ripartire ora – insiste Giambelli —, gli altri alberghi sono indecisi ma bisogna dare un segnale, aprirsi alla città, anche cambiando qualcosa se necessario. Noi a differenza degli altri grandi gruppi internazionali del lusso abbiamo una gestione più agile e familiare, e anche i nostri clienti cercano questo tipo di approccio». 
Il primo ospite – con minimo preavviso – è stato il principe Federico Pignatelli della Leonessa, fondatore degli studios Pier59 di New York, rimasto bloccato ad Amsterdam mentre era diretto a Stoccolma. «Non potevo raggiungere la Svezia per il virus, così ho dirottato su Milano: questo albergo è come una casa per me». E in effetti, sono bastate due ore, ai proprietari, per preparargli le suite, con tanto di chef personale. «Dopo di lui sono arrivati o arriveranno in questi giorni imprenditori e habituée dell’hotel dall’Italia, dalla Francia e dall’Inghilterra – aggiungono nella hall —. In totale, dieci camere occupate su 98».
Ma a Palazzo Parigi l’onda lunga per la ripartenza era iniziata già nelle scorse settimane. I dipendenti sono tornati progressivamente al lavoro, fino a un terzo del totale (una cinquantina di persone su 150). Prelievi sierologici fatti in hotel dagli infermieri di un laboratorio privato e termoscanner per chiunque entri nella lobby. Certo, la piscina è vuota e il centro benessere orientaleggiante ancora chiuso sia agli ospiti sia ai soci. Ma alla reception il telefono ha ripreso a suonare e nella penombra dei corridoi è partito un via vai di fiori e decori, da posizionare nelle suite con inaspettate vista sulla città, dalla Madonnina ai grattacieli. «Durante il lockdown — raccontano alla reception – sono arrivate decine di telefonate dagli Stati Uniti al Qatar, per esprimere solidarietà». E adesso, finalmente, anche le prime prenotazioni.
Nei grandi hotel chiusi per mesi anche il tempo della manutenzione non si è mai fermato. Per sistemare gli interni, lucidare i marmi, pulire i pavimenti veneziani, magari per ridare luce, come a Palazzo Parigi, alla ristrutturazione finita nel 2013 del palazzo del Seicento – bombardato e ricostruito nel Dopoguerra, per decenni una banca – con i suoi spazi classici e moderni, tra quadri del 6-700 e arredi anni 50. Al ristorante, poi, il dialogo con i fornitori non si è mai interrotto (anche per occuparsi di quegli ospiti-residenti che da anni abitano in una parte dell’albergo). E ai tavolini del caffè nel giardino secolare, tra colonne di granito rosa e giovani ulivi sono stati tolti i divani, oggi troppo promiscui: i primi clienti si sono seduti, lunedì scorso, ben distanziati, per un aperitivo alla milanese. «Non è la tradizione della casa, ma così ci riavviciniamo alla città».