Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2020
La cicala Usa minaccia il sistema monetario globale
Il debito pubblico americano sale ai livelli più alti registrati in tempo di pace. La zona euro è impantanata. La Cina preme per un ruolo internazionale della propria valuta, il renminbi. Storia e analisi economica insegnano che queste combinazioni raramente vanno a finire bene. Più spesso finiscono in una crisi internazionale.
Al solo ipotizzare una crisi del dollaro molti economisti e banchieri scuotono la testa. È infatti sorprendente pensare agli Stati Uniti non come la fonte di strumenti finanziari di ultima solidità, le obbligazioni del Tesoro americano, ma come un’emergente fonte di instabilità. Le dinamiche della crisi finanziaria del 2008 e di quella odierna del Covid-19 sembrano portare a una conclusione opposta.
Per gli investitori globali il dollaro ha pagato bene durante le due principali crisi degli ultimi venti anni. Nel 2008 il dollaro si è apprezzato fortemente in seguito al fallimento di Lehman Brothers. È il paradosso di una valuta internazionale che il suo valore si apprezzi durante una crisi concentrata nel Paese che la emette. Nel marzo 2020 il dollaro si è nuovamente rivelato un’ancora di salvezza in risposta alla crisi del Covid-19.
Gli investitori globali cercano una valuta sicura, che non si deprezzi durante le crisi. Pochi Paesi sono in grado di offrire una valuta di questo tipo poiché in una crisi la maggior parte dei Paesi troverebbe molto più favorevole svalutare la moneta per avvantaggiare l’economia. I Paesi in grado di offrire questo tipo di valuta internazionale ottengono vantaggi in termini di bassi tassi sul debito e accesso privilegiato delle loro società ai mercati internazionali. Il ruolo internazionale del dollaro è fondato sulla capacità fiscale americana. Più è alto il debito rispetto alla capacità fiscale, maggiori saranno le tentazioni di svalutare in una futura crisi.
Sfortunatamente la capacità fiscale americana è in buona parte diminuita. Da un lato, ci sono dei trend strutturali di lungo periodo. Il Pil e il risparmio americano costituiscono una parte sempre minore delle loro controparti globali. La domanda globale per strumenti di investimento sicuri cresce più velocemente della base, il Pil americano, che dovrà ripagare il debito americano. Dall’altro lato, abbiamo avuto due crisi e una politica fiscale americana espansionistica anche in tempi buoni.
In macroeconomia si deve spesso spiegare al pubblico perché la logica del lavoro e risparmio individuale non si adatta bene all’economia nel suo intero. Il bilancio dello stato è una piacevole eccezione. Mi avvalgo di Esopo nel ricorrere a cicala e formica. In tempi buoni la formica accumula spazio fiscale, in crisi spende e gode delle risorse accumulate. La cicala, quella finisce male. Gli Stati Uniti dovrebbero essere la formica globale. Ci sono due problemi. Primo, anche una giudiziosa formica può finire male se deve affrontare ripetute crisi. Secondo, le cose vanno di male in peggio se la formica scende a patti con la cicala e inizia a spendere anche in assenza di una crisi. Il governo Trump è stato una cicala fin dal suo inizio.
Sorprende in quest’ottica che la stabilità del sistema monetario internazionale non venga considerata uno dei maggiori rischi futuri. Nel risveglio dal lockdown del Covid-19, il mondo si ritroverà con livelli di debito alti in molti Paesi. I maggiori debiti sono in buona parte giustificati dall’espansione fiscale per fronteggiare il Covid-19. Tuttavia, questi debiti porteranno ulteriori rischi e problemi. Ignorarli, o pensare che si pagheranno da soli, è il modo più sicuro per massimizzare la probabilità di un’altra crisi.
Nell’avviare il dibattito sul futuro del sistema monetario ci sarà bisogno di nuova teoria, fatti empirici, e uno sguardo alla storia. Qui mi limito a sfatare due comuni sindromi. La prima è quella del “una volta sicuro, sempre sicuro”. Le recenti crisi sembrano avere consolidato le aspettative che il dollaro sia lo strumento di ultima sicurezza. I portafogli internazionali si sono maggiormente spostati sul dollaro. Questa concertazione dei portafogli e delle aspettative combinata con fondamentali americani in deterioramento potrebbe essere invece esplosiva.
Come l’economista belga Robert Triffin aveva predetto negli anni Sessanta è proprio questa eccessiva domanda del debito americano, perché ritenuto sicuro, che ne comporta la crescita e ne semina la sua eventuale svalutazione. Questa predizione, oggi conosciuta come il Dilemma di Triffin, fu derisa negli anni Sessanta, ma confermata dai fatti nel 1971-73 quando gli Stati Uniti dovettero abbandonare la parità del dollaro con l’oro.
In seguito alla crisi del 71-73, il dollaro non perse la sua centralità nel sistema monetario. Cosa invece successa alla sterlina britannica dopo la crisi del 1931. È possibile che la centralità del dollaro sia sopravvissuta per la mancanza di alternative. L’introduzione dell’euro avrebbe potuto creare un’alternativa. Le recenti crisi hanno però rivelato problemi fondamentali con il design dell’euro, e il suo ruolo internazionale è diminuito. Francamente, per descrivere la capacità fiscale di alcuni grandi Paesi Europei, compresa l’Italia, Esopo avrebbe dovuto aggiungere un terzo animale: la locusta.
Oggi la sindrome del “non c’è alternativa” è rafforzata dalla debolezza dell’euro nel contesto internazionale e dalla prospettiva che il renminbi sia pronto solo tra alcuni decenni. Sarebbe un errore abbandonarsi a questa visione di un sistema immutabile. Le crisi del sistema monetario avvengono lentamente, e poi tutte a un tratto.