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 2020  giugno 04 Giovedì calendario

La Buchmesse si farà lo stesso

La Buchmesse a Francoforte si farà. Nonostante il Coronavirus, la fiera del libro più grande del mondo non si arrende, e si svolgerà regolarmente da mercoledì 14 ottobre a domenica 18. L’Ehrengast, l’ospite d’onore, sarà il Canada. L’anno venturo toccherà alla Spagna.
Sarà una Buchmesse in miniatura, avvertono gli organizzatori, a lungo in dubbio se non imitare la Fiera di Lipsia e saltare un anno. Nelle smisurate Halle non saranno ammessi tra addetti ai lavori e i visitatori non più di ventimila persone alla volta. Molte? Ma gli stand occupano diversi ettari. Da un punto all’altro, nonostante i tapis roulant e le scale mobili occorrono almeno 40 minuti. Non ci sarà pericolo di contagio se tutti osserveranno le misure di sicurezza.

Un atto di coraggio o di fede in nome della cultura: la Buchmesse si concluderà con un disastro economico, per gli organizzatori e per la città di Francoforte. Appena un terzo degli espositori rispetto all’ultima edizione garantiscono la loro presenza. Nel 2019 furono 7450 di 104 paesi, giá in leggero calo, 144572 i visitatori professionisti, 157695 quelli amano i libri.

Gli affitti per gli stand sono carissimi, si paga tutto, anche il noleggio delle sedie, dei tavolini, dei cestini per la carta. I tassisti della Mainhattan, gioco di parole per la Manhattan sul Meno, assicurano che la Buchmesse è quella che garantisce i migliori introiti, senza confronto con il Salone dell’auto, che Francoforte ha comunque perduto. Per trovare una camera libera bisogna prenotare almeno un anno prima, e i prezzi sono triplicati. Io vado in un hotel di Offenbach, un comune separato, ad appena otto chilometri di metropolitana dalla fiera. La mia camera in tempi normali costerebbe 90 euro, io ne pago quasi duecento.
Hanno rinunciato editori tedeschi tra i più importanti, come la Holtzbirnck, Luchtehand, Rowohlt, Random House, Heyne, e la svedese Bonnier. Gli italiani finora non hanno deciso. E non si sa se si dovrà rinunciare ad ammettere il pubblico normale sabato e domenica. La fiera negli ultimi due giorni si riempie di bambini e adolescenti, non si riesce quasi a camminare per i corridoi, anche se al contrario che a Torino, è vietato vendere libri. Chi è paziente e attende l’ultimo momento ottiene i volumi desiderati a metà prezzo dagli editori che non vogliono riportarli a casa, magari negli Stati Uniti o in Sud America. Un anno, prima dell’éra Amazon, volevo assolutamente un pocket americano, sarebbe stato difficilissimo ordinarlo, o trovarlo in una liberia europea. Aspetti lunedì, allora la Buchmesse durava un giorno in più. Devo partire oggi, risposi. E l’editore mi disse: io mi volto, e lei lo rubi. Un americano che non credeva alle teorie di McKinsey sul massimo profitto.

Piccola o elefantica, quest’anno io non mancherò. Mi sembrerà di tornare alla mia prima fiera nel lontanissimo 1969, quando Francoforte era ancora senza i mini grattacieli. Si svolse in una sola Halle, dove stavano tutti insieme, tedeschi e stranieri. Io ero l’unico giornalista italiano, perchè la Buchmesse non era ancora stata scoperta. In una giornata riuscii a parlare con tutti, e le case erano dirette ancora dai loro fondatori e padroni, da Giulio Einaudi, Valentino Bompiani, Livio Garzanti. Da Bompiani parlai con Umberto Eco che mi disse: «Alla Buchmesse si prendono solo fregature, qui ho conosciuto mia moglie». Ma era una battuta. Conobbe Renate Ramge, che è di Francforte, nel 1962, e l’amò fino all’ultimo dei suoi giorni. Allora la cultura era importante. Il mio giornale, Il Giorno, pubblicò il mio articolo su due pagine. Una Buchmesse in miniatura era più vitale della mostruosa fiera che è diventata. Ero inesperto, e non avevo prenotato, trovai un letto a una cinquantina di chilometri.