Corriere della Sera, 1 giugno 2020
Il vero valore della nostra Repubblica
«L’Italia è una Repubblica democratica». Inizia così l’articolo 1 della Costituzione. La Repubblica, però, è nata prima della nostra Carta fondamentale. Il momento fondativo della Repubblica è stato il 2 giugno 1946, quando il popolo fu chiamato a pronunciarsi, mediante referendum, sull’alternativa tra monarchia e repubblica, e scelse la seconda.
N ella stessa data si svolsero anche le elezioni per l’Assemblea Costituente, che iniziò i suoi lavori il 25 giugno 1946 con il vincolo di rispettare la volontà popolare che si era espressa nel referendum.
Dunque, prima si decise tra monarchia e repubblica, e poi si scrisse la Costituzione (…).
Si trattava della scelta più delicata e controversa di tutte le questioni istituzionali. Una scelta che divideva la popolazione e le stesse forze politiche: di qui la decisione di lasciare la parola al popolo italiano, che votò a suffragio universale, incluse le donne, ammesse per la prima volta ad una consultazione politica.
Nella seduta del 26 giugno 1946 il presidente dell’Assemblea Costituente si limitò a prendere atto dell’esito della consultazione popolare, che «solennemente consacrava la forma di governo repubblicano, quale era stata prescelta dal popolo italiano, con atto della sua volontà sovrana» (…).
Nel testo della Costituzione, la parola Repubblica costituisce l’alfa e l’omega, è contenuta nella prima e nell’ultima frase della Carta fondamentale, disegnando un arco ideale che abbraccia e unifica l’intera architettura costituzionale.
La forma repubblicana definisce il volto costituzionale dell’Italia e per questo è considerata una scelta definitiva, irreversibile e intangibile: un «principio supremo» come ha affermato la Corte costituzionale.
Ma che cosa significa la parola Repubblica? Che cosa si intende per forma repubblicana?
Repubblica è un termine carico di storia e dotato di una grande ricchezza semantica. E la stessa Costituzione lo usa in una pluralità di significati.
Il primo e più circoscritto contenuto del concetto di repubblica ha a che fare con le caratteristiche del capo dello Stato, che è una carica elettiva e temporanea. In questa prima accezione, la repubblica è la forma di stato contrapposta alla monarchia, non solo nella recente storia d’Italia, ma in molte comunità politiche, sin dall’antichità. Come si legge in apertura a Il principe di Machiavelli: «Tutti gli stati … sono o repubbliche o principati».
Tuttavia la Costituzione utilizza la parola Repubblica in un secondo e più ampio significato, che indica il complesso di tutti i pubblici poteri che compongono l’intero ordinamento: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», si legge all’articolo 114 della Costituzione. C’è un elemento di coralità nella nozione di Repubblica accolta dalla Costituzione italiana. Per questo la partitura costituzionale è contrassegnata da spazi di autonomia, locale e funzionale, e punteggiata da procedure e raccordi di unificazione.
È a questo vario complesso di soggetti pubblici (…) che la Costituzione affida il compito di realizzare un ampio spettro di obiettivi sociali, a partire da quelli enunciati nell’articolo 3 secondo comma: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Dal dibattito in Assemblea Costituente emerge che con la parola «Repubblica» si è ritenuto di designare «l’insieme di tutte le attività e funzioni sia dello Stato come tale, sia delle Regioni e degli altri enti pubblici».
Infine, in un senso ancora più ampio, la parola Repubblica indica l’intera comunità politica, comprensiva tanto dello Stato-persona quanto dello Stato-comunità. All’origine di ogni forma istituzionale organizzata si pone anzitutto una comunità sociale e politica, che di essa è elemento fondante. (…)
È questo tipo di vita della comunità repubblicana che viene ritratta dalla Costituzione italiana, quando riconosce a ciascuno i diritti inviolabili, e al contempo chiede a ciascuno non solo il rispetto delle leggi, ma anche il dovere di fedeltà alla repubblica (articolo 54) e, soprattutto, chiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica economica e sociale (articolo 2).
Una Costituzione dove il popolo non è solo destinatario delle decisioni che riguardano la vita della comunità, ma ne è partecipe e artefice. Una Costituzione dove il popolo emerge in termini plurali: associazioni, minoranze linguistiche, confessioni religiose, famiglie, scuole e università, sindacati, partiti politici, cooperative, imprese sono tutti soggetti del tessuto sociale riconosciuti dalla Costituzione, che contribuiscono alla vita comune.
La vita della Repubblica che emerge dall’ordito della Costituzione somiglia molto a quella che Tocqueville descriveva nel suo viaggio in America: «un corpo sociale insonne, in fermento tanto nella vita politica come nella società civile, impegnato in un movimento continuo, in cui tutti gli uomini marciano insieme verso un unico scopo; ma no n tutti sono tenuti a marciare sulla stessa via».
*Presidente della Corte Costituzionale