la Repubblica, 2 giugno 2020
Ritorno a Penny Lane
Il barbiere è chiuso, il banchiere è occupato altrove, alla fermata del bus non c’è nessuno. Soltanto il fish and chips rimane aperto, ma non è lo stesso di una volta: anche perché offre solo cibo da asporto a causa del lockdown e comunque nel brano in questione “pesce e patatine fritte” poteva avere un senso non esclusivamente gastronomico. «Ah, certo, i Beatles», dice il tizio dietro il bancone. «Ma io quella canzone non la conosco, preferisco il rap». Quella canzone narra una strada che ha conquistato il mondo: Penny Lane, Liverpool, Inghilterra. Un indirizzo iconico, come Abbey Road a Londra, nella toponomastica dei Fab Four, i quattro ragazzi favolosi che negli anni Sessanta lanciarono una rivoluzione culturale. Luoghi che tutti conoscono, anche senza esserci mai stati.
Vale la pena di tornarci perché proprio da queste parti è scoppiata la pandemia che ha colpito la Gran Bretagna più di ogni altro Paese europeo e qui sta assestando i suoi ultimi morsi micidiali. Secondo l’opinione dominante, infatti, il contagio da coronavirus ha ricevuto un’accelerazione letale l’11 marzo scorso con una partita di Champions League ad Anfield, 5 chilometri da Penny Lane: Liverpool-Atletico Madrid, 52 mila spettatori, inclusi 3 mila arrivati dalla Spagna, in barba alla parziale chiusura di attività e circolazione già introdotta in mezza Europa. Non è noto quanti di quei tifosi, prima e dopo la contiguità nello stadio, siano andati a riempirsi di birra nei pub locali, «ma quando avremo tutti i dati sarà interessante vedere la relazione tra questo avvenimento e la trasmissione della malattia», afferma Angela McLean, consigliere scientifico locale. «Con il senno di poi, quel match non si sarebbe dovuto giocare», concorda Matthew Aston, direttore della sanità pubblica. Due mesi dopo la gara, il nord-ovest dell’Inghilterra, l’area intorno a Liverpool, ha superato Londra come epicentro del virus. In maggio la città dei Reds allenati da Jürgen Klopp doveva festeggiare il suo primo titolo nazionale in trent’anni. Sarebbe stato il diciannovesimo. Invece, alle prese con il Covid 19, lo aspetta ancora.
Lunga 887 metri, cinta da due giardinetti, adiacente all’A562, Penny Lane è un vicolo, un passaggio, una corsia di collegamento, traduzione letterale di lane : una viuzza piuttosto misera, affatto pittoresca. Senonché, in questa periferia sud-orientale del capoluogo del Merseyside, come si chiama la regione circostante, sono cresciuti Paul McCartney e John Lennon, autori di un 45 giri uscito nel 1967 considerato da molti come il migliore prodotto dai Beatles: un doppio lato A, due brani che si equivalevano, da una parte Penny Lane scritta da Paul, dall’altra Strawberry Fields Forever scritta da John. Il testo della prima racconta la strada e i personaggi dell’adolescenza di entrambi. «Era un pezzo nostalgico, su una parte di Liverpool che io e John conoscevamo bene», ricorda il 77enne Paul. «Per andare a casa sua io cambiavo autobus a Penny Lane, idem lui per venire da me, per cui quella fermata era diventata per noi familiare come una rotonda in cui darsi appuntamento. E altrettanto bene conoscevamo le facce che lo popolavano ». Il barbiere che nella canzone «espone le fotografie di ogni testa che ha avuto il piacere di incontrare» era Bioletti’s, origine italiana come suggerisce il cognome, poi rimpiazzato da Tony Slavin: in realtà è su Smithdown Place, proseguimento di Penny Lane. Generalmente assediato di turisti, che vogliono tagliarsi i capelli almeno una volta dove nacque la zazzera a caschetto di Paul e John, oggi è chiuso per lockdown. Da un decennio ha un rivale in The Barbershop Club, al 110b di Penny Lane: «Ma non è quello della canzone», avverte Adele Allan, ultima proprietaria di Tony Slavin. Replica il collega Barry Haden: «Siamo vicini allo storico cartello stradale Penny Lane, inevitabile che qualche fan entri anche da noi, ma non diciamo mai di essere la bottega dei Beatles». Di parrucchieri che possono confondere le idee peraltro se n’è aggiunto un terzo, Little Hair Room, 49 Penny Lane: ora anch’esso con la serranda abbassata per la pandemia.
Il banchiere in macchinaa cui «ridono dietro i ragazzini» veniva forse da una delle tre banche all’angolo, su Smithdown Road: di questi tempi fonti di lacrime, più che di scherno, alla prospettiva della peggiore crisi economica del dopoguerra. Anche il pompiere con «l’autopompa sempre pulita» era probabilmente su una strada attigua, Mather Avenue, dove sorge unastazione dei vigili del fuoco: ma ultimamente le sirene che attraversano Liverpool sono quasi sempre autoambulanze. L’infermiera che «vende papaveri» da un vassoio si riferisce invece alla tradizione di ricordare con un fiorellino di cartone all’occhiello l’11 novembre, Remembrance Day, giorno dei caduti della Prima guerra mondiale: le sue eredi, attualmente, sono in ospedale a soccorrere le vittime di un nemico invisibile. Quanto ai «quattro soldi» di pesce e patatine fritte, il rito può ripetersi nel ristorantino al 53 di Penny Lane, spendendo un po’ più chenelverso di McCartney. A four of fish, vecchia espressione gergale, significa «quattro penny di fish and chips». Tuttavia finger pies è anche uno slang sessuale: trattandosi di ricordi dell’adolescenza, può darsi che avesse un doppio senso. I giardini di Penny Lane sarebbero appropriati per appartarsi.
Al Millenium Green parallelo alla strada, in un pomeriggio quasi estivo, due ragazzi fanno jogging, una giovane donna porta a spasso il cane. Non lontano dall’University of Liverpool, non caro come affitti, fornito di caffè e ristoranti a buon mercato, nell’ultimo decennio il quartiere si è riempito di studenti. Ma l’università è chiusa per il Covid, per cui gli studenti sono tornati alle famiglie. Mancano all’appello pure i turisti, tenuti lontani dal lockdown britannico e internazionale, sebbene sul cartello stradale con la dicitura “PennyLane” abbondino testimonianze del loro passaggio: firme, cuoricini, disegni. In passato l’insegna veniva addirittura divelta e rubata come prezioso souvenir, poi l’amministrazione comunale ha imparato a fissarla in modo che sia impossibile portarsela via, a meno di demolire il muro. Come la parete di recinzione di Abbey Road, intorno agli omonimi studi londinesi in cui i quattro di Liverpool registrarono tanti successi, anche il cartello viene regolarmente ripulito: e altrettanto rapidamente ricoperto di nuove scritte e graffiti. La gente viene da tutto il mondo per vedere Penny Lane, tappa irrinunciabile del Beatles Magical Mistery Tour, due ore a bordo di un bus giallo (allusione a yellow submarine?) per fotografare la casa natale di Paul, John, George e Ringo, il Cavern Club dove suonavano anche otto ore per notte, l’orfanotrofio della Salvation Army diventato noto come Strawberry Fields e gli altri punti della città legati all’epopea del gruppo. Nel 2006 un consigliere comunale propose di cambiare designazione alla strada, che prende nome da James Penny, commerciante di schiavi del XVIII secolo contrario all’abolizionismo, ma la giunta decise che ormai tutti la identificano con i Beatles: non avrebbe senso fare modifiche. A Penny Lane si può arrivare anche con l’autobus di linea, il 62, il 68, l’86A, come facevano Paul McCartney e John Lennon per ritrovarsi alla fermata «dietro la pensilina, nel mezzo della rotonda» e rimirare «i cieli azzurri della periferia». Seduti su quello su cui viaggioio, due diciottenni che potrebbero esserne i nipoti ammettono di non saperlo, ma stanno ripercorrendo il cammino di una canzone che, andando «a ritroso nel tempo», allude a un’epoca semplice e serena. Un tram che si chiama nostalgia, lungo una strada a cui si torna volentieri, in questi giorni complicati e oscuri.