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 2020  giugno 02 Martedì calendario

Sei anni alla prof che fece un figlio con un 13enne

La relazione proibita con un ragazzino non ancora quattordicenne. La nascita di un bambino, le scenate di gelosia, i ricatti. Si chiude con una condanna a 6 anni e 6 mesi il processo a carico dell’operatrice sociosanitaria di Prato arrestata nel marzo del 2019, con l’accusa di violenza sessuale su un adolescente, a cui dava ripetizioni di inglese. Accogliendo l’impostazione della Procura guidata da Giuseppe Nicolosi, il tribunale ha riconosciuto la donna colpevole di tutte le accuse; condannato a 1 anno e 8 mesi anche il marito, a giudizio per aver attestato la paternità del bambino pur sapendo che non era suo.
«La verità è un’altra – dice la condannata – speriamo nel processo di appello». La donna, 32 anni, era stata denunciata con un esposto dai genitori dell’adolescente. A incastrarla il test del Dna eseguito su ordine della Procura, che aveva dimostrato la paternità del giovane “allievo”, e numerose conversazioni chat dal contenuto inequivocabile. I messaggi hanno documentato tra le altre cose ricatti e pressioni psicologiche usati sul giovane per convincerlo a continuare la relazione: “se mi lasci ti ammazzo”, “dico a tutti che il figlio è tuo”. Agli atti anche la testimonianza di una collega, alla quale la donna aveva confidato di avere una relazione con un giovane istruttore di palestra che poi era diventato uno studente della V superiore. Di fronte alle sue perplessità sull’opportunità di frequentare un ragazzo così giovane, la donna aveva ribattuto “e se avesse 13 anni?”. La testimone durante la prima fase delle indagini aveva anche spiegato che l’amica aveva “manifestato predilezione per i ragazzi molto giovani” e in particolare per la vittima, intercettata in più occasioni in una palestra di arti marziali. Proprio le attenzioni per i ragazzi appena adolescenti, mostrate dalla trentenne – secondo la ricostruzione si appostava spesso nella palestra, con la scusa di aspettare l’altro figlio più grande – avevano spinto gli investigatori a indagare anche sul possibile coinvolgimento di altri minori, circostanza che non ha trovato riscontri.
«È fondamentale che sia stata superata l’impostazione iniziale dell’indagine che sfiorava i contorni del reato di pedofilia – commenta l’avvocato Massimo Nistri, che difende la donna insieme con il collega Mattia Alfano – Ricondurre tutto a un errore senza dubbio compiuto, è stato intanto un passo importante. Ora abbiamo bisogno di leggere le motivazioni ma l’orientamento è fare appello».Luca Serranò


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La denuncia è partita da lei, ma per un anno lei ha taciuto e solo ieri, dopo la sentenza, ha rotto il silenzio: «Quella donna non si è vergognata di niente, ha abusato di mio figlio e in casa ne aveva uno suo, appena più piccolo». È uscita dall’aula del tribunale di Prato, ha abbassato la mascherina che le copriva la bocca e si arresa agli obiettivi dei fotografi e delle telecamere. «Credo nella giustizia, per questo non ho mai voluto dire niente prima. Di certe cose non si parla in piazza, ma nelle aule del tribunale». Le parole si sono interrotte subito per l’emozione e le lacrime. Con le mani toccava un foglio con degli appunti scritti al computer, «Non vorrei dimenticarmi di dire delle cose. Grazie alla mia avvocata Roberta Roviello e allo psicologo che ci hanno seguito in tutto questo tempo non facendoci mai sentire soli».
La sentenza riconosce la colpevolezza dell’insegnante che dava ripetizioni di inglese a suo figlio. ..
«Sì ma non finisce qui, quella donna gli ha rovinato la vita e per noi la strada sarà ancora lunga, oggi si è chiusa una parentesi. Mi ci vuole forza e coraggio per andare avanti, ho tre figli da crescere».
Come ha scoperto la relazione dell’insegnante con suo figlio?
«Nel 2018 ero stata operata all’anca e stavo a casa. Osservavo i miei ragazzi, lui aveva sbalzi di umore, mi faceva domande su quella donna. "L’hai vista?" Frequentavamo la stessa palestra. "Ti ha detto qualcosa?" Ho cominciato a insospettirmi. Ho messo in fila un sospetto, un altro, un altro ancora. Ho capito che voleva allontanarsi da lei e ho cominciato a chiedermi perché. Un giorno sono andata con l’istruttrice della palestra e lui ha voluto venire con me: lì ci ha fatto leggere i messaggi sul cellulare e abbiamo capito. Vorrei dire una cosa…».
Che cosa?
«Non abbiamo mai cercato vendetta. Ma quella donna non si è vergognata di niente, anche in aula ha avuto un atteggiamento sprezzante. Ha detto che la verità è un’altra come se non si rendesse conto di quello che aveva fatto. Quale altra? La verità è questa: ha abusato di mio figlio quando lui non aveva nemmeno 14 anni, lo ha ricattato e minacciato. I bambini e le bambine non si toccano, mio figlio l’ha rovinato e nessuna sentenza mi risarcirà».
Come sta adesso suo figlio?
«Ha un carattere forte, fa sport a livello agonistico, sogna le Olimpiadi, si allena e studia».
Cosa le ha detto dopo averle raccontato quello che era accaduto?
«Grazie mamma mi hai liberato da un peso, ricomincio a vivere».
Le ha chiesto qualcosa in questi giorni?
«No. Ha isolato questa vicenda dalla sua vita, è come un cassetto che tiene chiuso. Quando lo psicologo le ha domandato del bambino lui ha risposto: io non ho chiesto niente, quello è il figlio di … (segue il nome dell’insegnante di inglese, ndr)».
E lei a quel bambino, che adesso ha due anni, ci pensa?
«Sono nonna lo so, ma in questo momento mi interessa la vita di mio figlio, è lui che devo proteggere. Ci penso, certo che ci penso. Quel bambino è frutto di un abuso… e ora non riesco a sentirlo come mio nipote. Ci vorrà tempo o forse no, non so».

Laura Montanari