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 2020  giugno 02 Martedì calendario

Come funziona l’algoritmo della Serie A

Il 5 maggio, il famoso 5 maggio, l’Inter di Hector Cuper avrebbe conquistato lo scudetto dopo 13 anni d’attesa. Sarebbe bastato un algoritmo. Il 20 aprile 1986, Roma-Lecce, i giallorossi di Sven Goran Eriksson non avrebbero buttato al vento il titolo. Come? Puntando su un algoritmo, è chiaro.
Il calcio italiano prova ad arrivare in fondo alla stagione più tormentata della propria storia e per farlo – come da richiesta del governo – ha presentato tre piani: A, B e C.
Il piano A è semplice: si giocano tutte le partite che mancano da qui alla fine, magari in orari vagamente assurdi, magari compresse in una manciata di nottate, ma almeno si gioca. Una volta esaurite le partite, la classifica esprimerà i verdetti. Scudetto, posti in Europa, retrocessioni. Verdetti inappellabili.
Il piano B è un po’ meno semplice: playoff e playout, se non si riescono a giocare tutte le partite (ma se non si possono giocare le giornate mancanti, dove si troverebbero tempo e condizioni per disputare i playoff?). Domanda: come si giocherebbero? Con quante squadre? Su quante partite? E che si fa con il pareggio? È un piano B ma tutti sperano di non doverlo usare.
E poi c’è il piano C: l’algoritmo di Gravina. Che non sarà ancora famoso come la serie (che non è A e B) di Fibonacci ma è diventato il giochino matematico del momento. L’autore, il presidente della Federcalcio, ovviamente lo difende: «È un modo per regalare al calcio uno strumento che metta tutti alle stesse condizioni. Può funzionare. Gli inglesi lo stanno facendo». Urbano Cairo, presidente del Torino, invece lo smonta. «L’algoritmo è un po’ l’anticalcio, perché nel calcio c’è sempre l’imprevedibilità». 
Ma che cos’è, alla fine, questo algoritmo? La definizione, prima di tutto: come saprebbe agevolmente spiegare una prof di matematica, l’algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari in un tempo ragionevole. Per capirci: è un algoritmo anche l’assegnazione dei punti (3 in caso di vittoria, 1 di pareggio, 0 di sconfitta) in un campionato in tempi normali.
L’algoritmo di Gravina è solo un filo più complesso: si prende la classifica incompleta, si valutano le medie punti in casa e in trasferta, si moltiplicano per 19 come il numero delle partite in casa e in trasferta. Poi si aggiunge un coefficiente per gol fatti e subiti e shakerando il tutto si otterrà un numero con decimali che definirà la classifica finale.
Tutto a posto? Mica tanto. Se la squadra X nelle ultime 5 giornate dovesse giocare con le prime cinque della classifica avrebbe senso valutare allo stesso modo la squadra Y che invece gioca con le ultime cinque? Non solo: magari per assurdo è meglio giocare con una terza appagata che con una sedicesima che lotta per salvarsi: che direbbe in questo caso l’algoritmo? Infortuni, squalifiche, pali, autogol, alea. Errori. È il bello del calcio. E il calcio è uno sport che non può essere valutato attraverso un algoritmo. Tanto varrebbe allora prevedere un piano D: giocare le ultime partite con la PlayStation. Almeno le skill sarebbero più precise dell’algoritmo di Gravina.
Per la cronaca: il 5 maggio 2002 l’Inter all’Olimpico perse 4-2 con la Lazio. Il 20 aprile 1986 la Roma crollò 2-3 in casa contro il Lecce già retrocesso. In entrambi i casi lo scudetto andò alla Juve: algoritmo o meno, alla fine di solito vincono comunque loro.