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 2020  giugno 02 Martedì calendario

Biografia di Dario Bressanini raccontata da lui stesso

Dimagrire sette chili in sette giorni? «Una truffa: perdi solo acqua». Gli Ogm nocivi? «Una bufala». Lo zucchero di canna? «Fa male quanto quello bianco». Il sale rosa dell’Himalaya? «Viene dal Pakistan, che dista 1.500 chilometri dall’Everest». Dario Bressanini si fa chiamare «l’amichevole chimico di quartiere», ma assomiglia più che altro all’Uomo Ragno effigiato sulla parete dello studio di casa: ti avviluppa nella ragnatela dei suoi esperimenti. Due anni fa esordì su YouTube con alcuni video «su cibo e gastronomia dal campo al piatto, contro la disinformazione dilagante». Oggi il canale di divulgazione scientifica che porta il suo nome è il più seguito in Italia, con 439.000 iscritti. Altri 301.000 follower li conta su Instagram e 173.000 su Facebook, che però non bisogna nominargli: «È diventato una fogna». Più che del rione, è il chimico del Web, visto che 913.000 internauti pendono dalle labbra di questo ricercatore, docente all’Università dell’Insubria, laureatosi con una tesi su «Simulazione Monte Carlo del 1,2-dimetossietano». 
Eppure la chimica è ostica e odiata. 
«S’è fatta una triste nomea. “Senza sostanze chimiche”, proclama la pubblicità. Asserzione ridicola: tutto è chimica». 
La insultano per i suoi video sul ragù. 
«Non su Instagram. Solo su Facebook, il covo degli odiatori, tutta gente che ha passato i 40 anni e rifiuta il confronto». 
Per quale motivo le stanno addosso? 
«Reinterpreto i piatti tradizionali secondo criteri scientifici. Eppure ho mantenuto il latte previsto nella ricetta ufficiale del ragù alla bolognese, depositata presso la Camera di commercio». 
Non parliamo dei tutorial sulla pasta, 2 milioni di visualizzazioni su YouTube. 
«Me ne hanno dette di tutti i colori: “non la darei neanche al mio cane”, “non sei degno di chiamarti italiano”. Solo perché ho dimostrato che, per cuocerla, basta portare a ebollizione l’acqua, buttarla, mescolarla, mettere il coperchio e spegnere il fuoco, risparmiando gas». 
Come il risotto alla pilota mantovano. 
«È scientificamente provato che per cuocere amido e glutine bastano 80 gradi. Bisogna solo aspettare un minuto in più. In passato il bollore continuo serviva a evitare che gli spaghetti s’incollassero, ma oggi la pasta è di buona qualità». 
Insulti feroci anche per le verdure. 
«I fan dell’asparago bianco dop di Bassano del Grappa me l’hanno giurata. Ho dimostrato che non va bollito nell’acqua, bensì avvolto in carta da cucina e cotto per 3 minuti nel microonde alla massima potenza. Così non diventa molliccio». 
Ma il microonde non era pericoloso? 
«Per nulla. Io lo uso anche per il cavolo: 5 minuti in una ciotola coperta con l’apposita pellicola. Nessun odore in casa, aromi conservati. La gente ha paura delle radiazioni e dimentica che anche la luce solare è una radiazione». 
Perché è favorevole agli Ogm? 
«Perché sono utili. Li hanno demonizzati, facendoli diventare il simbolo del potere malefico delle multinazionali». 
Chi li ha demonizzati? 
«Quelli di Slow food, per esempio. Persone molto amabili, ma poco credibili come profeti nostalgici. L’agricoltura del passato non era affatto un eden». 
Gli organismi geneticamente modificati non sono un giogo per il contadino? 
«No. È vero che i semi devono essere ricomprati ogni anno, ma non perché gli Ogm siano sterili. Il contadino fa lo stesso per le piante non Ogm. Gli conviene di più. La semente ottenuta in casa è una pratica che aveva senso nell’Ottocento». 
Gino Girolomoni, l’antesignano del biologico che si faceva chiamare Alce nero, 20 anni fa mi disse: «Il cibo è il floppy disk, il corpo è il computer. Se l’alimento perde le sue qualità originarie, il corpo non lo riconosce più, lo rifiuta». 
«Molto suggestivo. Ma non è vero. Fino a tre secoli fa nessuno mangiava i pomodori, importati come pianta ornamentale. E le patate erano cibo di Satana, perché crescono sottoterra. Le viti sono cloni fatti dall’uomo, geneticamente uguali l’una all’altra. Tant’è che se arriva un parassita, o una muffa, muoiono tutte. Silviero Sansavini, fino al 2008 docente di Frutticultura all’Università di Bologna, creò la prima mela italiana che non aveva bisogno di trattamenti chimici, trasferendo nella qualità Gala un gene della Florina: gliela bloccarono perché Ogm. Ma poi che significa biologico?». 
Stavo per chiederlo a lei. 
«Parliamo di un protocollo dell’Ue trasformato in sinonimo di sano. Mette al bando i pesticidi di sintesi, ma non quelli di origine naturale, tipo il solfato di rame, che è tossico e si accumula nei terreni, però impedisce ai funghi di attaccare i vigneti. Come diceva il compianto Francesco Sala, biotecnologo vegetale, gli Ogm sono l’unica arma non chimica per evitare l’inquinamento». 
Quando si appassionò alla materia? 
«In terza elementare, per gioco, proprio ottenendo dal solfato di rame dei bellissimi cristalli blu. I miei mi avevano regalato “Il piccolo chimico”. La mamma mi accompagnò al Consorzio agrario a comprare un chilo di questa sostanza proibita, per maneggiare la quale adesso serve un patentino. Ci aggiunsi acqua e la feci evaporare sul fornelletto ad alcol». 
Un dinamitardo. 
«Provocare piccole esplosioni in soffitta era il mio hobby. Una volta mi presero fuoco i pantaloni. Ho regalato “Il piccolo chimico” di oggi a Francesco, un mio nipote. Che delusione! Spariti il fornelletto, le provette di vetro, i reagenti». 
Torniamo ai cibi. I legumi fanno bene? 
«Sì, tutti i nutrizionisti concordano». 
Però pare che i fagioli provochino la sindrome dell’«intestino gocciolante». 
«A chi l’ha inventata gocciola il cervello. Le lectine sono proteine presenti in molti cibi, che in buona parte si distruggono durante la cottura, quindi non possono danneggiare la mucosa dell’apparato digerente. Il marketing della paura se ne serve per vendere rimedi assurdi». 
Lo zucchero è il padre di tutti i mali? 
«Di sicuro mangiamo troppi zuccheri. Occhio al plurale. Ieri ho comprato un succo di limone e zenzero. Me lo aspettavo asprigno, invece era dolcissimo. Ho letto gli ingredienti: solo succo di mela concentrato, cioè glucosio e fruttosio. Zuccheri, appunto». 
I grani antichi sono più consigliabili? 
«Una panzana per demonizzare quelli moderni. Per una buona pastasciutta serve molto glutine. Infatti, dovendo sopperire alla scarsa qualità dei frumenti nostrani, nel 1847 la Buitoni creò la pastina glutinata. Nel 1860 i pastai napoletani erano costretti a importare il Taganrog dalla Russia e sulle confezioni scrivevano con orgoglio “Grano straniero”». 
Siamo esterofili da lunga data. 
«Tutti credono che il riso Venere venga dall’Oriente, dove in effetti si coltivano qualità nere, viola, rosse, ma inadatte per i risotti. In realtà è un nome commerciale inventato a Vercelli nel 1997. Idem il grano Kamut, che non c’entra nulla con i faraoni: è un marchio registrato nel 1989 da Bob Quinn, statunitense, per la qualità khorasan importata dall’Anatolia». 
Lei sostiene che il dado non fa male. 
«La “sindrome del ristorante cinese” non ha fondamento. Il glutammato di sodio è un prodotto di decomposizione delle proteine presente anche nel parmigiano. La differenza di sapore fra un grana di 36 mesi e uno di 18 è tutta qui». 
Che cosa sono gli «aromi naturali» presenti nelle etichette di molti cibi? 
«Molecole che hanno un aroma caratteristico. Quello di vaniglia si chiama vanillina e nel 95 per cento dei casi è un prodotto di sintesi ottenuto dai chiodi di garofano. Dal punto di vista chimico non c’è alcuna differenza fra aromi naturali e artificiali. Ma per legge vanno distinti». 
Anche i sali sono tutti uguali? 
«Più o meno. Di sicuro quello rosa dell’Himalaya, prodotto non dai nepalesi ma dai pakistani, non contiene affatto gli 84 elementi preziosi che gli vengono attribuiti. E meno male, altrimenti sarebbe tossico. Quanto alla colorazione, è data dall’ossido di ferro che si deposita nelle miniere. Ruggine, per capirci». 
Come mai rifiuta il «chilometro zero»? 
«È un’impostura. Per il consumatore tedesco hanno un impatto ambientale minore e un costo inferiore gli agnelli che brucano l’erba all’aperto in Nuova Zelanda rispetto a quelli cresciuti negli allevamenti riscaldati in Germania. La Lincoln University ha calcolato che recarsi a comprare un chilo di verdura a 10 chilometri da casa genera più anidride carbonica che farla arrivare dal Kenya». 
Perché un italiano su due è obeso? 
«Perché mangiamo troppo. La risposta è da considerarsi definitiva. Le calorie contano, ma non si contano. Per il principio di conservazione dell’energia, la pasta in più che non riusciamo a smaltire viene immagazzinata come ciccia». 
Dopo i 50 anni impossibile dimagrire. 
«Arduo. Con l’età si riduce il metabolismo basale, cioè le calorie che consumiamo anche dormendo. A riposo respiriamo in media 12 volte al minuto. Ogni respiro emette 9 milligrammi di carbonio. Un chilo di grasso che vorremmo eliminare contiene 767 grammi di carbonio. Anche se digiuniamo, il nostro corpo impiega 5 giorni per bruciarlo». 
Che colazione s’è concesso stamane? 
«Una galletta con un velo di marmellata, tè al limone senza zucchero, un caffè. Peso 83 chili. Prima ero 75». 
E a pranzo che cosa troverà? 
«Una pasta ai broccoli freschi, cotti in microonde e saltati in padella con aglio, olio, peperoncino e un’acciuga. Per cena trancio di tonno ai semi di sesamo. Una bottiglia di vino mi dura una settimana». 
Ma non sgarra mai? 
«A volte, di notte, un panino con la pancetta coppata. Non devo avere in casa le patatine al pepe. Sono una droga».