Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 02 Martedì calendario

Chi sono gli antagonisti di Antifa

«Antifa non è un’organizzazione, è un pensiero politico, sociale, rivoluzionario in cui si rispecchiano individui e gruppi di diverso genere, comunisti, anarchici, socialisti, ambientalisti antirazzisti e non solo». A parlare è Mark Bray, storico, antropologo e autore di «Antifa: The Anti-Fascist Handbook», considerato il libro più esaustivo sulla rinascita dei movimenti nati negli Anni 20 e 30. E’ lui a guidarci nella dimensione più estrema delle proteste dei gruppi che Trump vorrebbe inserire tra le organizzazioni terroristiche. 
Il movimento Antifa è diventato noto ai più in Usa dal 2016 con l’elezione di Donald Trump e il ritrovato attivismo dei gruppi suprematisti e della Alt Right. È un punto di riferimento di realtà composite che si contrappongono alla destra estrema, non accettano l’ordine costituito che viene rappresentato dal capitalismo e rifiutano il concetto di Stato che trova espressione nelle forze di polizia e in una certa Giustizia ordinaria. Non c’è una leadership, un quartier generale o sedi, piuttosto si tratta di un «brand» sotto il quale si identificano vari gruppi. Tra i più rilevanti negli Stati Uniti c’è «NYC Anitfa» la cui fondazione risale a circa una decina di anni fa, mentre quello più vecchio è a Portland, Oregon e risponde al nome di «Rose City Antifa», inaugurato nel 2007 quando gli attivisti scesero in piazza mascherati. Presero il nome di «clown block», mutuando i più navigati «black bloc» della protesta di Seattle del 1999. «Di loro però in queste proteste non c’è traccia, almeno per ora», ci spiegano alcune fonti vicine alla polizia. 
Gli antesignani di Antifa in Usa erano gli «Anti Racist Action Network» (Ara) a cui si rifacevano ad esempio gli «Skinheads Against Racial Prejudice», ovvero gli skin «non nazi». I gruppi sono in contatto fra loro con il Torch Network, rete di antifascisti militanti negli Stati Uniti e non solo.
Tra doxing e propaganda
La principale attività del movimento è di effettuare ricerche e avviare azioni di propaganda. Un’altra attività è il «doxing» ovvero la pratica di cercare e diffondere pubblicamente online informazioni personali e private o dati sensibili riguardanti personaggi della destra estrema, per screditarli o impedir loro di compiere azioni. Sul campo invece l’obiettivo è di confrontarsi con l’estrema destra quando questa organizza eventi di qualsivoglia genere, comizi, sfilate, manifestazioni, al fine di impedirne fisicamente lo svolgimento.
Il movimento Antifa ha acquisito maggiore visibilità negli Usa nel 2017, dopo una serie di eventi, come l’aggressione di un membro di spicco Alt Right, la cancellazione di un evento di uno scrittore di destra dell’Università della Californiae lo scontro con nazionalisti bianchi a Charlottesville che sono diventati violenti, come lo "Unite the Right rally" nell’agosto del 2017.
L’importanza di fare numero
Alcuni hanno sono addestrati alla guerriglia urbana, ma son pochi. Occorre fare una distinzione: a differenza di alcuni movimenti Antifa europei quelli americani si basano esclusivamente su realtà spontaneiste e di quartiere accomunate dalla convergenza su alcuni temi, in particolare sulla discriminazione. «Si muovono sul terreno - affermano gli esperti - per compensazione, per grandi numeri, ed infatti non si è assistito a Minneapolis o altrove a grandi tattiche di guerriglia». Inoltre si basano su realtà di quartiere, spesso sono polo di aggregazione di realtà più povere e frustrate, quelle che poi escono dal negozio saccheggiato con le Nike o il maxi schermo. Provvedono alla sussistenza attraverso l’autofinanziamento, l’International Antifascist Defense Fund, e donazioni. 
«Il ricorso alla violenza è quindi uno strumento di protesta contemplato», spiega Bray. Ma non rischia di snaturare la protesta stessa? «Antifa parte da un presupposto - dice - le proteste pacifiche non hanno portato a nessun risultato specie sulla riforma della polizia. 
Durante gli ultimi otto anni abbiamo avuto movimenti di diverso genere, come Black Lives Matter e altri, che hanno reagito in maniera più vigorosa, anche causando danno alle proprietà private che, pur essendo stati condannati dall’opinione pubblica, hanno catturato attenzione e hanno in qualche modo causato cambiamenti nell’agenda politica». Fino a dove si possono spingere con la violenza? A risponderci è un Antifa di Baltimora: «Combattiamo scrivendo per evitare di combattere fisicamente, combattiamo fisicamente per evitare di combattere con i coltelli, combattiamo con i coltelli, per evitare di combattere con la pistola».