Il Messaggero, 2 giugno 2020
La nuova autopsia di Floyd: «Morto per asfissia»
Da fuori sembra una specie di “serpente” fatto di cubi di cemento. Dentro, è tutto un susseguirsi di ambienti asettici (e sinistri). Da qui nessuno è mai fuggito. Da ieri l’ex agente di polizia Derek Chauvin – l’uomo che ha schiacciato al suolo, con il ginocchio sinistro, per 8 minuti e 46 secondi, George Floyd, uccidendolo – è rinchiuso qui dentro, con l’accusa di omicidio colposo. La Oak Park Heights prison, al confine col Wisconsin, è una delle più temute prigione di massima sicurezza degli Stati Uniti. Appena preso in custodia, in attesa di comparire l’8 giugno davanti al giudice, e mentre l’America brucia di rabbia e il furore si è impossessato delle sue strade, Derek Chauvin era stato rinchiuso nella prigione della contea di Ramsey. Quindi il trasferimento, decisione non insolita per «casi di alto profilo».
Con il passare dei giorni, l’immagine dell’ex agente si fa sempre più torbida. Si affastellano le tessere di un mosaico che restituiscono il volto di uomo violento, al limite (o forse oltre) del sadismo. Nel 2017, il 17enne Kristofer Bergh si trova in auto con degli amici. Qualcuno tira fuori “per gioco” un’arma giocattolo. Arrivato a casa, spunta una pattuglia della polizia. «Chuavin – ha raccontato Bergh – mi ha puntato la pistola contro. Poi ha chiesto chi di noi avesse usato l’arma giocattolo, una Nerf dart. Nonostante avesse capito che si trattava di un gioco, ha tenuto la pistola vera puntata contro di noi. Ero terrorizzato». Ma non basta. Chauvin ha collezionato 18 denunce da parte di cittadini di Minneapolis che si erano sentiti minacciati. Nel 2006, era presente alla sparatoria che è costata la vita al 42enne Wayne Reyes. Secondo alcune fonti, l’ex agente ha ricevuto dieci reclami e due rimproveri verbali.
Ombre pensanti si addensano anche sui suoi compagni di pattuglia. Il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, che ieri davanti alle telecamere ha omaggiato la vittima togliendosi il cappello e parlato con suo fratello Philonise, non ha dubbi: «Floyd è morto nelle nostre mani e questo lo considero essere complici. Silenzio e mancanza di azione, significa essere complici». I quattro poliziotti sono stati licenziati martedì. Per Arradondo il caso Floyd è stata una grave «violazione di umanità». Tutta da verificare anche la versione dei poliziotti sulla sequenza dei fatti che hanno portato alla morte del 46enne afroamericano. Mentre scoppia la guerra delle autopsie. Nei giorni scorsi, gli esami effettuati sul cadavere della vittima avevano individuato un insieme di cause della morte: «L’essere immobilizzato, le sue patologie pregresse, compresa una malattia cardiaca, e la presenza di una sostanza tossica nel corpo». Una versione subito contestata dalla famiglia, e sconfessata dalla nuova autopsia, i cui risultati sono stati resi noti ieri: Floyd è morto di «asfissia a causa della compressione del collo e della schiena». Per il legale della famiglia Antonio Romanucci, che ha parlato espressamente di omicidio, tutti gli agenti che erano presenti al momento del fermo sono «penalmente responsabili». Come ricostruito dalla Bbc, nel loro resoconto, gli agenti avrebbero parlato di resistenza all’arresto. Versione però smentita dai video che documentano l’arresto e la morte di Floyd. Il NewYork Timesha poi fornito una ricostruzione dello svolgimento dei fatti ben diversa da quella descritta dai poliziotti. Il Suv di Floyd accosta. Ci sono a bordo altre due persone, che la polizia fa scendere, prima di estrarre il conducente dal suo posto. La resistenza è minima, e scompare poi quando Floyd viene fatto sedere contro un muro, mani dietro la schiena, ammanettato e portato dall’altro lato della strada. Su un marciapiede da cui non si rialzerà più.