la Repubblica, 2 giugno 2020
Del Vecchio e Mediobanca
Tutto ciò che riguarda Mediobanca finisce sotto i riflettori. A maggior ragione oggi, con la contesa che oppone il suo management a Leonardo Del Vecchio. E proprio nel momento in cui Intesa ha lanciato un’offerta su Ubi, per la prima volta non concordata, che ha finito per coinvolgere Unicredit e Unipol su fronti opposti, e chiamato in causa Tribunali, Antitrust, Golden Power, Bce, e Consob. Uno scontro che sembra da Trono di Spade, ma che in realtà rivela tutta la debolezza del nostro sistema finanziario, e il declino del Paese. Oggi Mediobanca vale 5,6 miliardi; poco meno di 3, tolta la partecipazione in Generali: ovvero la dimensione di una media banca regionale, come Oberbank, Bank Polska, AIB o Bankia. La vera questione dunque è se la dimensione, che relega Mediobanca in secondo piano nel panorama europeo, sia prova di una gestione inadeguata. La risposta non è univoca. Dal 2008, alla vigilia della grande crisi, il titolo Mediobanca è cresciuto il 220% più dell’indice dei bancari dell’Eurozona, meglio anche di Intesa (115%); e molto meglio di tutte le altre banche italiane, a cominciare da Unicredit e Ubi, che hanno perso rispettivamente il 64% e il 28% (senza il premio dell’Ops), o Bpm, incidentalmente l’unica fusione bancaria “concordata” (con il Banco Popolare), che nel periodo ha perso più di tutte (86%). La buona performance è il risultato della trasformazione di Mediobanca in un conglomerato finanziario, con partecipazioni e attività diversificate in assicurazioni, banca tradizionale (CheBan-ca!), credito al consumo, capital markets, advisory, investment banking e asset management; una strategia con cui ha evitato l’esposizione al settore immobiliare, i titoli di Stato, e i prestiti a imprenditori su base spesso clientelare, alla radice della crisi del nostro sistema bancario. Ma la strategia che finora ha salvato Mediobanca, la condanna in futuro sempre più all’irrilevanza e alla dimensione nazionale: dispersa in tanti segmenti, non può raggiungere le dimensione e le economie di scala necessarie per essere leader in nessuno, né disporre del capitale necessario per competere nell’investment banking e nel capital markets. Alla fine, il suo conto economico dipende dalle partecipazioni nel credito al consumo e in Generali, che ne costituiscono gran parte del valore; e non essendo strumentali, o integrate col resto delle sue attività, diventano la principale ragione dell’interesse per Mediobanca. Mediobanca deve quindi cambiare con decisione passo e strategia, perché la diversificazione da conglomerato, che pure ha funzionato bene finora, non è più sostenibile, come dimostra il tentativo di scalata di Del Vecchio. Se non lui oggi, sarà qualcun altro domani. L’arroccamento del management può solo rinviare il problema. Ma è Del Vecchio l’azionista giusto in grado di dare la svolta strategica a Mediobanca? Ne dubito. Non per il dato anagrafico: investitori leggendari come Carl Icahn e Warren Buffett hanno 85 e 90 anni, e sono ancora attivissimi. Ma hanno sempre e solo fatto gli investitori. Del Vecchio è un imprenditore di enorme successo, ma fare l’investitore attivista è un altro mestiere. Finora, della sua strategia non si sa nulla, contrariamente a quanto farebbe un investitore “attivo”, per raccogliere consensi sul mercato e creare valore. Del Vecchio è Presidente esecutivo di EssilorLuxottica, nel mezzo di una fusione a dir poco complessa e incompleta: segno che non è stato capace di trovare, o allevare, un manager a cui lasciare la guida e la crescita del gruppo. Non certo un esempio di buona governance da portare in Mediobanca. Non esiste un modello ideale di governance; e quello attuale, che permette di fatto al management in carica di autoperpetuarsi, non deve essere difeso a priori. Ma per valutare bisognerebbe conoscere l’alternativa. Non sapendo cosa Del Vecchio abbia in mente, diventa naturale pensare che voglia arrivare al controllo di fatto di Generali minimizzando il costo: il 20% di Mediobanca costa meno della metà del 13% di Generali che ha in portafoglio; che aggiunto al suo 5% darebbe a Del Vecchio la maggioranza relativa. Non scevra di conflitti però, visto i suoi interessi, e degli altri soci italiani, nel settore immobiliare. Sarebbe un’operazione dal sapore stantio del capitalismo italiano d’antan.