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 2020  giugno 01 Lunedì calendario

È la Germania la prima a ripartire

A me è andata bene. I soldi sono arrivati in 36 ore sul conto corrente. Ed essendo il mio negozio un’enoteca, ho potuto tenere aperto. Ho deciso io di ridurre l’orario, ma il fatturato è calato ad aprile e a maggio più o meno del 10-15%: niente di preoccupante. E non le dico la gioia di poter stare molto di più con i miei figli". Gianluca Borelli è romano, e da quasi dieci anni è proprietario di una piccola enoteca nel quartiere berlinese di Charlottenburg, "La Garibaldina". Ormai nella capitale quasi tutti i negozianti hanno tirato su la saracinesca, dal 2 giugno il Comune darà il via libera alle feste e ai piccoli concerti, e persino le palestre e le "kneipen", le birrerie, potranno riaprire, anche se il bancone resterà bandito ai clienti. "Altrimenti - ha spiegato il senatore agli Interni, Andreas Geisel - non si riescono a rispettare le distanze minime". E quelle, per un altro mese, continueranno a valere per tutta la Germania: 1,5 metri, all’aperto o al chiuso.
Aiuti immediati
Borelli conferma una tendenza che si rileva ovunque nel Paese, e non solo a Berlino. Gli "aiuti immediati" che il governo ha stanziato a fine marzo, sono arrivati nel giro di pochissimi giorni nelle tasche di autonomi, piccoli imprenditori, artisti. Borelli ha fatto richiesta per 5.000 euro, ma nel pacchetto "più ambizioso della storia della Repubblica", come lo ha presentato il governo Merkel, erano previsti fino a 9.000 euro per imprese con meno di cinque dipendenti, fino a 15.000 per quelle con meno di 15. Aiuti che, combinati con il divieto di sfratto e la possibilità di dilazionare il pagamento degli affitti, hanno consentito a musicisti e gestori di discoteche, ad artisti e negozianti di superare un periodo atroce. Complessivamente la Germania ha stanziato 353,3 miliardi di aiuti e 819,7 miliardi di garanzie in tempi record, polverizzando il pareggio di bilancio religiosamente coltivato per sette anni: 156 miliardi saranno spesi in disavanzo. Un piano da quasi 1.200 miliardi che Berlino ha cominciato a pompare da fine marzo nella sua economia, piombata come il resto del mondo nel doloroso letargo da coronavirus. Ma è chiaro che quel multiplo di soldi, rispetto a ciò che la Francia o l’Italia o la Spagna hanno potuto mettere sul piatto, potrebbe consentire al Paese di Angela Merkel di ripartire a razzo. Secondo l’Ifo, che prevede una recessione del 6,6% nel 2020, l’anno prossimo potrebbe essere quello di un rilancio poderoso. Gli economisti di Monaco stimano nel 2021 un recupero dell’economia tedesca del 10,2%.
Crolli da lockdown
A marzo il lockdown in Germania è scattato da metà mese. Eppure, rispetto a febbraio, la differenza nel fatturato si è fatta sentire in molti settori. Il crollo negli acquisti di biciclette e libri è stato quasi del 19%, la contrazione nei prodotti per la casa è stata di oltre il 17%, nel settore dell’abbigliamento quasi del 53% secondo le elaborazioni di Statista. Eppure, Joachim Pianka non se la sente di lamentarsi. Contrariamente a Borelli, ha dovuto chiudere il suo negozio di abbigliamento per oltre un mese. Il suo "Fein und Ripp" si affaccia su una delle principali arterie di Kreuzberg ed è un trionfo di colori autunnali. Le bretelle vivaci, le camice alla coreana, le gonne plissettate o i pantaloni di velluto sembrano saltati fuori da un set d’epoca di Martin Scorsese. Pianka ammette di essersi persino goduto la chiusura del negozio, tra il 16 marzo e il 25 aprile. "Berlino era bellissima, c’era quell’atmosfera tipica di quando ci sono 15 centimetri di neve, una calma incredibile". Molti clienti abituali hanno continuato a comprare i suoi prodotti online, "e appena abbiamo riaperto, sono immediatamente tornati a trovarci". Il suo fatturato è crollato di un quinto a marzo, e ad aprile la contrazione ha toccato punte del 40-50%, ma lui non si è mai davvero preoccupato. Anche Pianka ha fatto una richiesta di aiuti finanziari che sono arrivati "a strettissimo giro". E grazie alla Kurzarbeit, alla cassa integrazione tedesca, ha anche evitato di licenziare i suoi impiegati: insieme ai suoi due figli sono tornati tutti a lavorare dal 25 aprile. "Per me il lockdown stata quasi come una lunga vacanza", sorride.
Gli orari ridotti
L’orario ridotto tedesco è stato un sollievo non soltanto per Pianka, ma per tutta la Germania. Tra marzo e maggio oltre 750mila aziende l’hanno chiesto, scongiurando un’ondata di disoccupazione enorme. Oltre 10 milioni di tedeschi hanno visto la loro settimana lavorativa accorciata, a fronte di uno stipendio pagato al 67% per i lavoratori con figli, del 60% per chi non ne ha. E il tasso di disoccupazione è salito poco: ad aprile i disoccupati in più erano 308.000, il tasso medio ha raggiunto il 5,8%. Non male per un Paese in lockdown.
Peraltro, il governo non si è limitato a erogare i sussidi alle piccole imprese o a varare la cassa integrazione per proteggere i lavoratori, ha anche approvato o un ambizioso piano per aiutare le aziende medie e grandi. Dal cilindro del ministro delle Finanze Olaf Scholz è saltato fuori un pacchetto da 400 miliardi di garanzie, altri 100 miliardi di rifinanziamenti a programmi già decisi dalla Cassa depositi e prestiti tedesca, la KfW, che è diventata da fine marzo una sorta di rubinetto aperto del credito alle aziende. Secondo quanto precisato dallo stesso ministero, "concretamente ciò significa che i vincoli per accedere ai prestiti vengono allentati e le condizioni degli stessi migliorate, in modo da aiutare il maggior numero di imprese, il più velocemente possibile". E le garanzie statali per i prestiti della KfW arrivano al 90%.
Il Fondo di stabilizazzione economica
Infine c’è il "Wirtschaftsstabilisierungsfond", il "Fondo di stabilizzazione economica" ribattezzato in ambienti Cdu "fondo anticinese": 100 miliardi per salvare i gioielli del Made in Gerrmany dai fallimenti o dagli appetiti stranieri, anche attraverso l’ingresso nel capitale. Un fondo già attivato per il salvataggio di Lufthansa. Ma com’è noto i 9 miliardi di prestito e il 20% di partecipazione statale concordati tra la compagnia aerea tedesca e il governo Merkel hanno sollevato una levata di scudi a Bruxelles. Gli uffici di Margrethe Vestager hanno posto pesanti condizioni per il salvataggio, per ora respinte dai vertici di Lufthansa. Quello che preoccupa la presidente dell’Antitrust è che Lufthansa possa risvegliarsi dalla crisi talmente forte da mangiarsi i concorrenti in un boccone. Ed è un po’ quello che mezza Europa teme per la sua grande sponsor, la Germania. Dalle ceneri di un continente bruciato dal coronavirus rischia di riemergere una sola Araba fenice. E se Angela Merkel ha spinto la scorsa settimana per un Recovery Fund generoso, è anche perché sa che senza il resto d’Europa, quell’Araba fenice è destinata a morire presto.