Marco Belinelli non era mai stato in vita sua tre mesi senza giocare a basket. A 34 anni e 18 stagioni alle spalle, 5 in Italia e 13 in Nba, indossandone otto maglie diverse, più 154 presenze in Nazionale, ossia una quindicina di estati di sudore, s’è ridotto a scendere nel cortile di casa per provare due tiri. Stava meglio da cinno, a San Giovanni in Persiceto, quando il paesone della bassa bolognese gli offriva una scelta di tanti più campetti per farci sera. L’ultima partita con gli Spurs data all’11 marzo, 119-109 sui Mavs. Di lì, solo attesa, assediato dal virus nel suo piccolo Forte Alamo, Texas.
Belinelli, pronto a ripartire o ancora arrugginito?
«L’uno e l’altro. C’è tanta voglia, perché non ero mai stato così a lungo senza un pallone da basket. Ma c’è pure la certezza di non essere al 100%, e chissà a quale percentuale.
Qui a San Antonio non hanno riaperto le palestre, ho lavorato in casa, grazie al club che già il giorno dopo il lockdown ci aveva fatto avere attrezzi, pesi, cyclette. Poi qualche corsetta intorno, un po’ di tennis, qualche tiro qui sotto dove abito. Però sto bene, so che non sarà facile, ma in qualche modo ripartirò. Come tutti. Aspettiamo solo che la Nba ci dia le date».
Tra i passatempi della quarantena ha guardato "The last dance"?
«Alla grande. Imperdibile, Michael Jordan è sempre stato il mio idolo. A me la serie è piaciuta, c’era dentro quello che mi aspettavo, molto ben raccontato. Il percorso per arrivare in cima, la fatica fatta per vincere quei sei anelli, la sua ossessione di dare sempre il meglio. Poi so che ha creato polemiche, e qualche limite gliel’ho trovato anch’io. A me, da giocatore europeo, è spiaciuto non vedere riconosciuto il ruolo di Toni Kukoc, un giocatore che in quello squadrone contava. Globalmente, però, bene. Anche per chi non conosceva Mj, e penso a quei ragazzini che nel film ci avranno trovato una Nba diversa da quella d’oggi».
Avere un idolo e scoprirlo antipatico e cattivo non disturba?
«No, se quello è un lato del suo carattere. Ho conosciuto molti campioni, so come girano le cose in uno spogliatoio, inutile fingere che non ci siano contrasti. Abbiamo letto che pure tra Kobe e Shaq non filava tutto liscio, però vincevano. Quello conta alla fine, e lì emerge la forza di Mj, la sua mentalità. Vincere e fare vincere. Chiedere, per vincere, il massimo a tutti i compagni».
Jordan poi l’ha conosciuto come suo proprietario, agli Hornets.
«Mi aveva preso Charlotte, ero a Bologna con la Nazionale, mi chiama il gm. Poi me lo passa. Svenuto no, ma quasi».
E adesso, da giocatore maturo com’è ormai diventato, quanti anni di gioco si dà ancora? In Nba o in Italia, dove qualcuno ci sta pensando, a un Belinelli di ritorno?
«Maturo, giusto, non vecchio ride). Perché a quanti anni avrò ancora in campo non penso nemmeno. Sto bene e non mi metto limiti. Poi, è vero che sarò free agent in questa maledetta estate del virus, la meno adatta a trovare un contratto. Mi sto guardando in giro, conto di avere opportunità. Oggi sto pensando solo alla Nba, è e resta la mia prima scelta, visto che non s’è ancora spento il fuoco che mi spinse a venire qui. L’Europa, l’Italia non sono oggi scelte in subordine, anche per un fatto di calendario. Qui si giocherà fino ad agosto, ci sarà il draft a settembre, si ripartirà più avanti. È una stagione sfasata rispetto a quella europea. Da voi le squadre si fanno adesso, io credo che starò qui ad aspettare».
La Nazionale?
«Ci sono sempre, con entusiasmo intatto. Ci sarei stato quest’estate, sarò a disposizione la prossima per il preolimpico, un traguardo che attendo con ansia».
Il ct Sacchetti, oltre alla nazionale, guiderà la Fortitudo. Un mondo che lei conosce bene.
«Ho letto, ho sentito qualche compagno, la notizia è stata una bomba. Sacchetti ha tutto per far bene a Bologna. È esperto, ha vinto, sa come comportarsi su ogni piazza dove va. Spero sia la scelta giusta per la Effe, so che vogliono far bene, glielo auguro di cuore».
Domani sera sarà in tv, a duettare con Fedez sul tema "Non mollare mai". Ci si ritrova?
«Beh, è proprio la mia storia, per intero, e per questo mi ci sono buttato con entusiasmo, oltreché per dare una mano alla Croce Rossa, un motivo sempre eccellente. Non mollare me lo sono detto mille volte, i primi anni di Nba, quando per tanti ero solo uno che doveva tornare a casa, inadatto a quel livello, impedito a poter stare in quel mondo. Ho mandato giù, so io quanto sono state dure certe sere, e lo sanno i miei familiari, la mia fidanzata, tutti quelli con cui ho poi condiviso il bello di togliermi ogni sassolino dalle scarpe.
Quando ho vinto la gara del tiro da tre, quando con gli Spurs ho vinto il titolo, ho pensato anch’io di essere diventato un giocatore importante, pure per questa lega. Ed è accaduto perché non ho mollato. I momenti bellissimi sono nati dalla tenacia in quelli difficili. Questo posso raccontare. Ho tenuto duro, ho inseguito il mio sogno, ce l’ho fatta».