Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 01 Lunedì calendario

L’Italia dei commissari

C’è una sottile linea rossa che unisce il nuovo ospedale di Siracusa e i vagonetti che correvano carichi di carbone fin dal 1912 lungo i 380 piloni della funivia di Savona, indifferente ai 1.391 chilometri che separano le due città. È la linea che attraversa, senza remore alcune, l’Italia dei Commissari. Negli ultimi quattro anni, da quando nell’aprile 2016 è stato partorito il famoso nuovo Codice degli appalti, ne sono stati nominati 25. Con un crescendo frenetico, hanno calcolato gli esperti dell’associazione dei costruttori. Se dall’aprile 2016 all’aprile 2019 si era andati avanti con un commissario in media ogni 3 mesi e mezzo, dalla primavera dello scorso anno a oggi si è passati serenamente a un commissario ogni tre settimane. E il coronavirus, si badi bene, c’entra poco o nulla. L’ultimo arrivato è il commissario per la ricostruzione del viadotto di Albiano sul fiume Magra, venuto giù come un castello di carte un mese e mezzo fa: miracolosamente senza provocare vittime grazie anche al fatto che, causa emergenza Covid-19, il traffico era inesistente. Prima di quello, però, ecco il commissario per la realizzazione dell’ospedale di Siracusa, e prima ancora il commissario per la funivia di Savona devastata dall’alluvione di novembre, celebrata da Carlo Emilio Gadda su una guida del Touring club del 1938 come un prodigio dell’ingegno umano. Ancor prima ecco i commissari per i giochi olimpici di Milano e Cortina nonché per le Universiadi di Napoli e la partecipazione italiana all’Expo 2020 di Dubai: ma non era finita con l’eclissi di Guido Bertolaso l’epoca dei commissari ai Grandi eventi? Quindi il commissario per la messa in sicurezza dello stabilimento di Stoppani, per il sistema idrico del Gran Sasso, per le fognature e la depurazione delle acque, per il Terzo Valico, per il Mose, per le strade sarde ma anche per le strade siciliane, il commissario per Ischia e pure per l’alta velocità Palermo-Catania (nominato due anni fa, campa cavallo…) Morale: in Italia un commissario non si nega a nessuno. Indipendentemente da risultati, ovvio. Per una ragione molto semplice. Siccome la burocrazia è asfissiante, le procedure sono infinite, i funzionari pubblici evitano se possibile di assumersi ogni responsabilità e gli appalti finiscono sempre in contenziosi biblici, il commissario è l’unica soluzione. Almeno così sembra, perché nella stragrande maggioranza dei casi anche lui finisce per incappare nel medesimo groviglio. Rivelandosi poco più che una foglia di fico per non rispettare le norme ordinarie: troppo lunghe, complicate, spesso anche insensate. Così lunghe, complicate e insensate da sospettare che le abbiano fatte apposta così per giustificare i commissari.
Che la scorciatoia del commissario non sia mai stata la strada giusta lo sanno tutti da decenni. Basterebbe ricordare il primo decreto “Sblocca cantieri”, perché si chiamava proprio così, emanato dal ministro dei Lavori pubblici Paolo Costa nel 1996. Ventiquattro anni fa. Appena due anni dopo l’approvazione della legge Merloni che avrebbe dovuto chiudere l’epoc a di Tangentopoli consegnando gli appalti a un sistema di trasparenza e legalità. Ma non funzionava neppure quella, e allora ecco lo “Sblocca cantieri” targato Costa con un commissario per ogni opera pubblica. Peccato che un anno dopo la Corte dei conti certificò che degli oltre cento cantieri commissariati se n’era sbloccata appena una manciata.
Sarebbe stato sufficiente per cambiare strada. Invece no. E c’è qualcosa di diabolico, in un sistema che produce leggi che non funzionano al punto che per far funzionare le cose si fanno leggi per derogare alle leggi di prima. Anche se poi nemmeno derogando alle leggi le cose vanno per il verso giusto.
Prendiamo il famoso Codice degli appalti. Nel 2016 si decide dunque di mettere mano alla normativa sulle opere pubbliche prodotta dieci anni prima. Una creatura allucinante, una specie di mostro di Frankenstein nato con 278 articoli, 38 allegati e più di 1.500 commi che in dieci anni erano stati modificati 597 volte: secondo l’ Ansa «le sentenze del Tar e del Consiglio di stato e i pareri dell’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici che hanno preso in esame uno o più articoli del codice sono 6.155». Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio presenta la riforma come la «rivoluzione della normalità», che avrebbe quindi dovuto chiudere per sempre l’era delle deroghe e dei commissari. Ma il risultato non è esattamente questo. Gli articoli sono 220, e occupano 817 mila caratteri. Un altro codice sterminato: e le critiche dei costruttori, stremati dalla burocrazia, non si fanno attendere. Il nuovo codice non gli piace, e le loro diffidenze crescono man mano che i contorni dell’operazione si delineano. Almeno però quel provvedimento che già conta 220 articoli non dovrebbe essere assistito come i precedenti da regolamenti altrettanto monumentali. Prima tuttavia che il dossier divenga pienamente operativo, arriva una legge approvata dalla maggioranza gialloverde mentre Matteo Salvini dal ministero dell’Interno tuona: «Aboliamo il Codice degli appalti». Ma quella legge non soltanto non lo abolisce. Si limita a stravolgerlo aggiungendo anche il regolamento: ancora 313 articoli e 898 mila caratteri, dice la bozza spuntata qualche giorno fa. E siamo alle solite. Il sistema resta paralizzato. Che si fa? I bandi di gara sono troppi complicati? Allora modello Genova. Si mette nel cassetto la legge, quel Codice degli appalti che anche Salvini voleva sopprimere, e si fa senza. Senza gare, senza bandi, in deroga, con i commissari. Pensate, lo vogliono anche al Partito democratico che difendeva il codice e insorgeva quando Salvini chiedeva di seppellirlo. Il sindaco di Prato Matteo Biffoni, presidente dell’Anci Toscana, ha proposto di applicare il modello Genova a tappeto, nominando i sindaci commissari delle opere pubbliche del loro territorio.
Forse il Codice degli appalti di Delrio non era proprio una “rivoluzione di normalità”. Questa, però, ancora meno. Restaurazione, magari, è una parola più giusta.