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 2020  giugno 01 Lunedì calendario

Il problema della sepoltura dei musulmani

«Avrei voluto che la mamma fosse stata sepolta qui, in Italia, nel Paese dove ha vissuto la maggior parte dei suoi anni. Noi ormai viviamo qui, saremmo andati a trovarla nel cimitero islamico più spesso, l’avremmo sentita più vicina. Per mio padre non era così. Per lui era marocchina, musulmana. È nella sua terra di origine che doveva tornare il suo corpo. E poi qui i cimiteri sono pochi». A raccontarlo, pensando alla madre morta qualche anno fa, è Samira, 40 anni, in Italia da 30, ma come lei, emerge sempre più una generazione di musulmani che, con la perdita di un proprio caro, si è trovata di fronte a una scelta sulla quale si gioca la prospettiva dell’integrazione dell’islam in Italia. Che non è solo simbolica, ma ha significati e ripercussioni profonde. Per capirlo, anche i numeri aiutano: i musulmani in Italia sono 2,6 milioni, secondo le stime del 2018. Pari al 4,3% della popolazione complessiva. Il 56% ha cittadinanza straniera; ma per un buon 44% sono italiani.
È su questa seconda fede religiosa nel nostro Paese – e in questo caso attraverso i suoi defunti – che sta maturando un cambiamento radicale, veicolato oggi soprattutto dall’emergenza del Covid 19.
«A causa della chiusura delle rotte aeree e marittime del nostro Paese con l’estero, i corpi dei deceduti musulmani per coronavirus o altro non possono più essere trasportati nei luoghi di origine come accadeva nella maggior parte dei casi» spiega Abdallah Redouane, segretario del centro islamico della Grande Moschea di Roma.
Ciò ha causato una situazione drammatica, che ha visto la giacenza di numerose salme musulmane negli obitori per diversi giorni, proprio per la mancanza di cimiteri islamici pronti a ospitarli. Un vero caso, soprattutto al Nord, dove è più numerosa la comunità.
Significativa la storia di Hira Ibrahim, una giovane musulmana macedone che nel cuore dell’emergenza perde la madre a Pisogne in provincia di Brescia, e si trova obbligata a tenere la sua salma in casa per più di dieci giorni perché nel suo comune di residenza non c’è uno spazio nel cimitero dedicato ai musulmani che possa accogliere la madre. Decine di altre famiglie musulmane si sono trovate a vivere lo stesso incubo in questa emergenza, che ha evidenziato falle e disuguaglianze sociali. Una sofferenza doppia: quella della perdita, insieme all’altra di scoprirsi impotenti, perché privati di un diritto primario, un luogo di sepoltura in un Paese nel quale si partecipava alla sua crescita.
La questione dei cimiteri islamici sul territorio nazionale, è oggi molto seria, se si guardano i dati. Su quasi 8 mila comuni italiani solo una cinquantina dispongono di spazi, all’interno dei cimiteri comunali o adiacenti ad essi, peraltro piccoli, dedicati ai defunti musulmani.
Se si scorre la lista si nota che sono sparsi tra regioni e molto lontani. Lombardia ed Emilia Romagna quelle che ospitano di più. Il primo spazio cimiteriale ad essere edificato in Italia per i musulmani è stato a Trieste nel 1856. Più di due secoli, che evidentemente non hanno visto un grande processo di integrazione. «Il Cimitero Flaminio qui a Roma è stato tra i primi, nel 1974, grazie alla convenzione tra il Comune e il nostro centro islamico – spiega Abdellah Redouane – ma oggi questo spazio è limitato, anche perché in questi mesi, sono aumentati i decessi insieme alle richieste di sepoltura, che un anno fa erano impensabili. Per questo, se ne sono aggiunti uno a Frosinone e un altro a Rieti». Basterà? si chiede Redouane. «E evidentemente no».
Ci troviamo dunque di fronte a un vero cambiamento di prospettiva, dove l’islam italiano è sempre più italiano e radicato anche con i suoi defunti. Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, altra organizzazione islamica in Italia, si è trovato a dover affrontare l’emergenza non solo aggiornando la lista dei cimiteri in Italia ma facendo una vera corsa contro il tempo, come altre organizzazioni islamiche nel territorio, per accelerare i tempi e trovare una sepoltura dignitosa per i defunti musulmani che continuavano ad aumentare negli obitori superando il tempo limite di attesa, prescritto per rito islamico per la sepoltura. «Abbiamo fatto domande per aprire nuovi spazi nei cimiteri comunali, siamo riusciti ad averne 18 ma abbiamo fatto più di 150 richieste in tutta Italia per aprirne altri, perché siamo in emergenza dentro un’altra emergenza. Aspettiamo fiduciosi, anche se molti nemmeno ci rispondono». Ma perché si è arrivati a questo punto? Sicuramente, la pandemia ha accelerato un’iniziativa che la comunità islamica si rassegnava a coprire con una toppa, quella del rimpatrio delle salme, ma che oggi si presenta con tutta la sua urgenza. Perché da una parte c’è un’emergenza che obbliga ad una sola scelta, quella della sepoltura in Italia con tutte le difficoltà del caso, ma dall’altra c’è anche una comunità islamica in evoluzione con i suoi giovani che hanno radici, sentimenti e legami forti anche sul territorio italiano.
Sono interlocutori nuovi, che di fronte a un’intesa con lo Stato che non c’è, ai cavilli burocratici che lasciano alla discrezione e alla sensibilità del sindaco se adibire o no un piccolo spazio ai defunti di fede islamica, molto probabilmente proveranno a muovere un altro passo, in un quadro di diritti e leggi che tutelino meglio le minoranze religiose, tanto più che si tratta di una minoranza tutt’altro che minoritaria.