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 2020  maggio 31 Domenica calendario

Intervista a Nicola Crocetti

Ha fatto conoscere in Italia la grande poesia greca contemporanea, profeti della modernità come Konstantinos Kavafis, Nobel per la letteratura come Odisseas Elitis o monumenti dell’epica del Novecento come Nikos Kazantzakis. Ma è stato anche un baluardo per la poesia italiana, non solo con la produzione libraria ma grazie a una rivista che ha pubblicato varie generazioni di autori, ospitando migliaia di poeti e decine di migliaia di versi, Mario Luzi e Aldo Nove, Alda Merini e Franco Loi, Milo De Angelis e Giovanna Sicari, Cesare Viviani e Silvio Ramat e tantissimi altri.... Per tacere dei grandi poeti di tutto il mondo.
Una lunga crociata dalla parte della poesia, talvolta un’Odissea, che Crocetti ha spesso condotto tra le difficoltà dell’editoria medio-piccola e quelle ancora più stringenti dell’editoria di poesia. La notizia è che continuerà a farlo, anche se non più come editore ma come direttore editoriale. Il grecista, editore e traduttore Nicola Crocetti ha ceduto la casa editrice fondata nel 1981 e la rivista nata nel 1988, che ora sono entrate nel Gruppo Feltrinelli e cominciano a vivere una nuova stagione: già dal 4 giugno la rivista «Poesia» sarà in libreria diventando bimestrale, con un nuovo formato in brossura e una nuova veste, con i disegni dell’artista Riccardo Vecchio; e sempre dal 4 giugno usciranno i primi due libri del nuovo corso della collana di poesia, tradotti entrambi dallo stesso Crocetti e dedicati entrambi all’autore che Crocetti ricorda spesso come un padre, Ghiannis Ritsos.
Nel nuovo corso in seno a Feltrinelli, per Crocetti Editore tutto il 2020 sarà dedicato alla poesia e dal 2021 si avvierà anche una nuova collana di narrativa. Una svolta, che Nicola Crocetti saluta con entusiasmo, mostrando le prime copertine dei libri del nuovo corso, commuovendosi nel ritrovare il capolavoro del suo Ritsos, Quarta dimensione, in un’edizione nuova, annunciando la raccolta Molto tardi nella notte, finora inedita, che inaugura la nuova vita dell’editrice. 
Com’è nata l’idea dell’acquisizione della sua casa editrice da parte del gruppo Feltrinelli? Manterrà un ruolo nella «nuova» Crocetti e nella nuova rivista «Poesia»?
«In agosto compirò 80 anni, e non ho un diadoco designato. La mia casa editrice ha quarant’anni, e credo sarebbe un peccato che tanta esperienza e tanti sacrifici andassero perduti. Feltrinelli è un marchio prestigioso non solo per la cultura italiana, e mi garantisce la continuità del mio marchio, il recupero e il rilancio del catalogo, la possibilità di fare nuovi libri. Conserverò la direzione editoriale sia della casa editrice sia della rivista “Poesia”, e porterò alla Feltrinelli la mia esperienza. Nei 40 anni della casa editrice e negli oltre 33 anni di vita di “Poesia” ho pubblicato 358 numeri con oltre 3.200 poeti, 32 mila poesie da 38 lingue, migliaia di articoli e foto di poeti. Centinaia di poeti di tutto il mondo sono usciti per la prima volta sulla mia rivista, che in passato ha raggiunto tirature di alcune decine di migliaia di copie».

Che cosa prova adesso?
«Mixed feelings, sentimenti contrastanti. Da un lato il rimpianto di aver dovuto dare una figlia in adozione, dall’altro la rassicurante consapevolezza che questa figlia avrà una vita migliore e più lunga di quella che avrei potuto continuare a darle io».
Un po’ di storia: la sua casa editrice e la rivista sono state un esempio unico in Italia, e non solo. Come le venne l’idea, all’epoca, di diventare editore? Incarnando tra l’altro una figura complessa di traduttore, scout, editore, direttore di rivista...
«Sono di origini greche e credo che la lingua greca abbia in sé il Dna della poesia. La mia passione per la poesia risale ai primi anni dell’adolescenza. La poesia è come l’acne: durante l’adolescenza viene a tutti, poi passa. Ad alcuni però non passa, e quelli sono i poeti, ai quali rimane la faccia butterata. Solo che nel mio caso questa passione non si è manifestata con la fregola di scrivere poesie ma di leggerle. E, più avanti nell’età, di tradurle dalla mia lingua, il greco. Quando poi ti metti a tradurre poesie dei poeti che ami e non trovi nessuno che le vuole, allora decidi di diventare editore in proprio, così pubblichi quello che ti pare. Tout se tient, no?».
«Poesia» ha ospitato innumerevoli poeti. In questi giorni, nel tempo del passaggio a Feltrinelli, forse avrà ricordato qualcuno di questi autori. E forse sarà stato visitato da alcuni fantasmi: i maestri greci che ha fatto conoscere in Italia, per esempio...
«La rivista ha pubblicato una legione da cui non è facile scegliere. E devo premettere che non sempre i poeti sono una compagnia amabile. Inviterei tutti a leggere il famoso libello del critico polacco Witold Gombrowicz, Contro i poeti, che dice cose micidiali sulla loro presunzione e vanità. Dopo averlo letto, il futuro premio Nobel Czesław Miłosz, gli scrisse una lettera in cui diceva pressappoco: caro Gombrowicz, con il suo libro lei ha demolito tutta la mia vita e quello in cui credo; non la perdonerei mai, se non fosse che lei ha perfettamente ragione. Ho ricordi bellissimi di alcuni poeti, primo fra tutti il greco Ritsos, che per me è stato come un padre. Tra i molti altri, ricordo per umanità e simpatia l’inglese Tony Harrison, l’irlandese Seamus Heaney e il caraibico Derek Walcott, con cui passammo un indimenticabile compleanno nella sua isola, Saint Lucia. E naturalmente molti, molti altri. Quanto ai fantasmi, mi visitano soprattutto quelli dei poeti che non ho ancora pubblicato, dei quali spero di far uscire un libro un giorno».
Ma ci sono episodi che ama ricordare?
«Anzitutto la gioia di avere avuto l’amicizia di alcuni tra i maggiori poeti del mondo. Poi, la festa per i vent’anni di “Poesia” a Palazzo Reale a Milano con la Sala delle Cariatidi stracolma. E un “concerto dei tre tenori della poesia” – Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Giovanni Giudici – nella basilica di Sant’Eustorgio a Milano strabocchevole di gente. E un altro: poco tempo dopo che era uscita “Poesia” mi scrisse uno sconosciuto edicolante di Catania, una lettera scritta a mano, con grafia incerta, che diceva: “Poiché immagino la fatica che vi costa pubblicare questa rivista, ho pensato di aiutarvi in questo modo”. Nella busta c’erano due fotografie della sua edicola. Nella parte superiore aveva fatto riprodurre a sue spese il logo di “Poesia”. Commovente».
Chi ha visitato la sede della sua casa editrice e della rivista, ha visto le pile di riviste di “Poesia”, le annate intere, le montagne di manoscritti. Un archivio impressionante della poesia internazionale, tutti i volti, tutte le parole. Che ne sarà di quel patrimonio?
«Una delle cose più importanti del passaggio con la Feltrinelli è che tutto questo non andrà perduto. E ci sono anche grandi progetti per il futuro... Prima di tutto la mia traduzione dell’Odissea di Nikos Katzantzakis, che uscirà come strenna di Natale. È un poema monumentale, 33.333 versi, più dell’Iliade e dell’Odissea messe insieme: è la continuazione dell’epos di Omero e il poema più ambizioso del Novecento. Continuerò a pubblicare poeti allargando il raggio a tutta la poesia mondiale».
Perché si legge così poca poesia? E al contrario se ne scrive molta?
«Che moltissime persone d’ogni età scrivano poesie dimostra che la poesia interessa a una moltitudine. Se si digita la parola “poesia” su un motore di ricerca escono più di cento milioni di pagine. Vorrà dire qualcosa?».

Ma, tranne rare eccezioni, la poesia vende poco.
«E perché mai dovrebbe vendere, visto che nessuno ne parla, se non per caso o per amicizia? In questo hanno gravi responsabilità gli stessi poeti, spesso divisi in clan. Ma ci sono molte altre ragioni. Anzitutto l’incultura generale del Paese, specchio dell’incultura di classi politiche imbarazzanti. Ci sono Paesi in cui alla poesia e ai poeti è riconosciuta un’autorità morale. Per fare un esempio, negli Stati Uniti alla cerimonia di investitura dei presidenti sono spesso invitati anche i poeti. Kennedy volle vicino a sé Robert Frost. Anche Clinton (lettore accanito di Derek Walcott) e Obama chiamarono i loro autori preferiti all’insediamento. I poeti italiani muoiono quasi sempre nel silenzio generale, al massimo un articoletto su un giornale. In Grecia sono morte di recente due poetesse importanti: in televisione hanno dedicato loro servizi significativi, e ai loro funerali c’erano le autorità al completo e una marea di gente. Da noi si è mai sentito in un telegiornale in prime time annunciare l’uscita del nuovo libro di uno dei nostri maggiori poeti, magari leggendo una loro poesia? Richiederebbe meno di un minuto. Non parlo delle trasmissioni in onda alle 2 di notte. Però nei tg di massimo ascolto si sente annunciare e suonare ogni giorno l’ultimo disco di cantanti e cantautori. Sono forse più importanti dei nostri maggiori (o anche minori) poeti?».
Che cosa si può fare, secondo lei?
«Non avendo fatto niente finora, ci sarebbe da fare tutto. Per cominciare, una massiccia campagna televisiva per promuovere la lettura della poesia, con spot intelligenti e ironici. Ne ho visti in altri Paesi, tutti davanti a noi nelle classifiche europee sulla lettura. E poi, “pillole di poesia”, cioè trasmissioni di pochi minuti disseminate tra un programma e l’altro, in cui si leggono bravi poeti. La radio lo fa. Perché la televisione no? E tutti sappiamo che quello che non passa in tv non esiste. Brodskij diceva che bisognerebbe mettere un libro di versi nei comodini di tutte le camere d’albergo, insieme alla Bibbia. Utopia di un Nobel. Certo, a molti concilierebbe il sonno ma qualcuno farebbe qualche scoperta interessante».