Corriere della Sera, 31 maggio 2020
Gli Usa e i trattati buttati nel cestino
Gli Stati Uniti stanno smantellando tutte le barriere costruite (dapprima con l’Unione Sovietica e poi con la Repubblica Russa) per evitare che le due maggiori potenze mondiali scivolassero verso un conflitto destinato a divenire inevitabilmente nucleare. Il 26 maggio 1972 Richard Nixon e Leonid Brezhnev avevano firmato un trattato che limitava il numero dei missili antimissili balistici di cui ciascuno dei due Paesi avrebbe potuto disporre. Si voleva evitare che uno Stato, dopo avere garantito la propria immunità ricoprendo il proprio territorio di missili antimissili, cogliesse l’occasione per scatenare sull’avversario una tempesta di ordigni nucleari. Il trattato fu denunciato il 13 dicembre 2001 durante la presidenza di George W. Bush e fu spiegato alla pubblica opinione che l’America, da quel momento, sarebbe stata libera di costruire un sistema antimissilistico nazionale per proteggersi dalla possibile aggressione di uno Stato «canaglia» (una implicita allusione a Iraq e Iran). Qualcuno sospettò con ragione che l’industria missilistica Usa fosse ansiosa di mettere in cantiere nuovi missili e l’Urss, prevedibilmente, replicò facendo altrettanto. Da allora, durante la presidenza di Trump, altri trattati hanno avuto la stessa sorte. È stato denunciato quello siglato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov. Si chiamava Inf (Trattato per le forze nucleari di medio raggio), ed era stato concepito per mettere fine alla gara missilistica con cui le due potenze si erano contese il controllo dei cieli negli anni precedenti. Più recentemente è stato denunciato il trattato dei cieli aperti (Open Skies) con cui ogni firmatario si era impegnato a permettere che il proprio territorio venisse perlustrato dagli aerei degli altri. E la stessa sorte sembra minacciare il trattato Start (Trattato per la riduzione delle armi strategiche) da rinnovare nel 2021. Sappiamo che Trump non ama i trattati internazionali, ma la causa di queste denunce potrebbe essere nel discorso d’addio che il generale Eisenhower pronunciò, il 17 gennaio 1961, per congedarsi dalla vita pubblica dopo il suo secondo mandato presidenziale. Disse anzitutto che la guerra mondiale aveva avuto per effetto la nascita negli Usa di una enorme industria bellica e di avere constatato l’esistenza di una lobby che definì «complesso militare-industriale». Nel momento in cui diventava un privato cittadino il vecchio militare volle lasciare ai connazionali questo ammonimento: «Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o processi democratici. Soltanto un popolo di cittadini vigili e consapevole può esigere un adeguato incrocio tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa e i nostri metodi pacifici ed obiettivi a lungo termine, in modo che sicurezza e libertà possano prosperare assieme».