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 2020  maggio 31 Domenica calendario

Intervista a Morgan

Marco Castoldi, che tutti conosciamo come Morgan, ha scritto un libro (Essere Morgan - La casa gialla, La nave di Teseo) che è insieme una ricostruzione mentale della casa che gli è stata pignorata e messa all’asta per debiti mai saldati con l’Agenzia delle entrate e un appello al ministro dei Beni culturali perché nasca un registro delle case d’artista, come forma di protezione e sostegno per gli artisti viventi. «Quando mi hanno sottratto la casa-laboratorio-studio di registrazione mi sono reso conto che in Italia non c’è consapevolezza del valore dell’artista, lavoratore che produce un manufatto di pubblico utilizzo e di grande utilità per l’assetto economico e morale dello Stato».
Già immagina le obiezioni…
«Mi dicono che voglio privilegi rispetto a chi fa un lavoro normale. Rispondo che sarebbe come dire che la Gioconda è un asse di legno colorato. Quando un cantautore sale sul palco e fa una canzone lo ascoltano in migliaia, decine di persone in quel momento ci guadagnano da vivere, magari milioni di altri lo guardano in tv. Una sola canzone produce un giro economico enorme e un’esplosione culturale». 
Che potrebbe fare il ministero?
«Avrebbe potuto dire: caro Tribunale di Monza, non puoi trattare questa casa come una casa normale, quando la casa di un artista viene sventrata si crea un problema al Paese. Quando gliene ho parlato, il ministro Franceschini mi ha detto che non poteva fare niente perché casa mia non è un edificio storico. Se non avessi avuto già i capelli bianchi, mi sarebbero venuti in quel momento: mica gli ho detto che abito nel Colosseo».
In che condizioni è la casa ora?
«Non ne ho idea. È stata venduta a un terzo del valore commerciale e così non si è risolto il mio debito con l’Agenzia delle entrate però sono in mezzo a una strada, come uomo e come lavoratore. Ho anche proposto: abbandono la casa, se proprio siete convinti che io sia da punire vivrò da clochard. Ma perché non la trasformiamo in un luogo che possa essere visitato? Dove i bambini possano scoprire e suonare strumenti insoliti? Perché non evitiamo di distruggere un luogo dove c’è stata una edificazione ventennale, con intelligenza e senso dell’arte? Non mi ha risposto nessuno, neppure i miei colleghi. I signori cantautori italiani sono stati completamente sordi, tutti a badare agli affari loro».
Gli artisti sono individualisti.
«Per questo sarebbe stato bello un fronte comune di liberazione. L’artista è un uomo senza diritti, neppure quello di affermare di esserlo, nonostante sui contratti ti chiamino così, artista. Non sto dicendo che valimo più degli altri, è che ci si chiede di produrre cose che solo noi sappiamo produrre».
Che fine ha fatto il contenuto della casa?
«È in un magazzino, senza archiviazione. Per questo nel libro lo racconto e ricostruisco. Ora vorrei farlo veramente, in un luogo pubblico, un po’ museo un po’ palcoscenico, dove si possa anche andare in scena. Potremmo ricostruire la casa in mille modi diversi, c’è una tale quantità di strumenti, macchinari, stoffe, invenzioni, immagini, progetti, informazioni. Un progetto sociale sarebbe bellissimo. Ma sto sognando».
Dove abita ora?
«Vivo in case casuali con bagagli buttati là in qualche modo, ho con me l’1 % della mia strumentazione, cerco di salvare il salvabile. Faccio l’archivista con i miei hard disk, cerco di collezionare e dare i nomi ai file, e questo tra l’altro mi impedisce di fare musica nuova».
È nata Maria Eco, la sua terza figlia.
«Capisce in che condizioni nasce? È l’unica spinta vitale, l’unica ragione per andare avanti. Per il resto, sono desolato».
Come ha vissuto il lockdown?
«Come un incubo. Sono uno che le relazioni le vive negli occhi, non poter guardare in faccia le persone ha causato in me una frattura forse non riparabile. Sento che è stato infranto lo specchio e questo mi addolora».
Che cosa farà adesso?
«Adesso bisogna elaborare il lutto, bisogna rendersi conto di quello che è successo. Non è semplice, io per esempio non riesco ancora ad accettarlo».
Forse è il compito degli artisti, elaborare il lutto.
«Ma io sono molto stanco. Spero che qualcuno recepisca il messaggio e lo faccia al mio posto. Io mi arrendo».