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 2020  maggio 31 Domenica calendario

Gianni Rivera ricorda Italia Germania 4-3

Chi c’era, allo stadio, davanti alla tv o con l’orecchio vicino alla radio, ne parla ancora oggi con i toni di chi ha assistito a qualcosa di epico e leggendario. Chi non c’era, se l’è fatta raccontare almeno una volta dal nonno, dal padre o dal fratello maggiore. Sono passati 50 anni da Italia Germania 4-3, semifinale dei mondiali messicani giocata il 17 giugno 1970 allo Stadio Azteca di Città del Messico. E proprio allo stadio Azteca c’è una targa che la ricorda come “Partita del secolo”. Un match talmente celebre che, oltre a segnare più di una generazione, ha dato il titolo anche a un film. A deciderla a pochi minuti dalla fine dei tempi supplementari fu Gianni Rivera, primo italiano a vincere il pallone d’oro un anno prima. Mezzo secolo dopo, il golden boy del calcio italiano ricorda quei momenti all’HuffPost. E fa sapere che, dopo aver preso il patentino da allenatore all’età di 76 anni, ha una gran voglia di tornare sull’erba verde per insegnare calcio. «La voglia di fare l’allenatore mi è venuta proprio ripensando all’azione che mi ha permesso di segnare il gol della vittoria contro la Germania», dice.
Ci spieghi Rivera.
«Oggi ogni volta che una squadra prende gol e deve ricominciare dal centro del campo, tende a retrocedere e a ripartire dalla difesa. Invece in quel caso ci furono tre tocchi tra me, De Sisti e Facchetti che poi lanciò Boninsegna verso la porta avversaria. Aggredendo subito i tedeschi che non se l’aspettavano. Così mi sono ritrovato in area a battere quasi un calcio di rigore in movimento. Anche se la mia idea all’inizio era un’altra, un po’ più folle».
Racconti.
«Avevamo subito il gol del 3-3 anche per un mio errore. Tanto che il portiere Albertosi me ne disse di tutti i colori. Allora pensai un po’ da sbruffone: “Tocca farmi perdonare, adesso dribblo tutti e vado a fare gol”. Ma appena presi la palla vidi troppe maglie bianche. Allora cambiai idea. Ma il risultato fu lo stesso».
Durante la telecronaca Nando Martellini parlò di partita meravigliosa e drammatica. Gli aggettivi su Italia Germania 4-3 si sprecano. Dopo 50 anni come la ricorda?
«In verità i primi 90 minuti furono molto normali, neanche tanto belli. Ma la partita si stava per concludere sull’1-0 per noi. Sono i supplementari quelli che poi hanno fatto la storia. E  nacquero quasi per caso».
Ovvero?
«Mancava pochissimo al fischio finale e il difensore tedesco Schnellinger, mio compagno nel Milan, stava puntando gli spogliatoi che erano dietro la nostra porta per non incrociare i nostri sguardi vittoriosi. Così si trovò in mezzo all’area a segnare credo il suo unico gol in carriera. E andammo ai supplementari. Da quel momento partì un rincorrersi di gol, di emozioni e di situazioni che sì, anche dopo 50 anni, giustificano sicuramente il mito che si è creato intorno al match».
Quando ha capito che lei e i suoi compagni di calcio avevate fatto qualcosa di unico?
«Noi lo sentivamo già in campo. Poi il calore e l’entusiasmo con cui ci accolsero in aeroporto al ritorno in Italia ci fece capire che anche i tifosi la pensavano così. Però la coppa Rimet se la portò a casa il Brasile battendoci 4-1 in finale».
Senza la partita del secolo, più freschi e meno provati, forse avreste potuto vincere il mondiale?
«Chi può dirlo. Ma quella finale per me rimane un grande rammarico. Perché ero tra i più freschi e giocai solo gli ultimi 6 minuti, quando il risultato era ormai compromesso. Oltretutto i brasiliani difendevano in maniera blanda perché convinti di fare un gol in più degli avversari. Avrei avuto tanta libertà di movimento. Chissà».
Uno dei casi di quel mondiale fu la staffetta tra lei e Mazzola.
«Una cosa incomprensibile, anche perché avevamo caratteristiche diverse e potevamo giocare insieme come era successo prima e dopo quel mondiale. Che senso ha stabilire prima della partita che ci sarà un cambio dopo la fine del primo tempo. Si era creata una situazione un po’ strana prima di partire per il Messico. C’era anche un po’ di politica, sportiva e non sportiva. Peccato».

Al giornalista Gianni Brera quell’Italia-Germania non piacque. Con lei in particolare non era mai stato molto tenero.

«Brera aveva bisogno di un nemico forte e quando scrisse che la squadra del ct Fabbri era una “nazionale di abatini” - riferendosi a me, Mazzola e Bulgarelli - fui l’unico a rispondergli. E se la legò al dito. Dopo poi siamo diventati amici. Andavamo spesso a mangiare insieme in osteria. Una volta stappò un vino rosso senza etichetta. Gli dissi “mica male”: era il suo. Quella sera lo conquistai».
Nel 2019, all’età di 76 anni, ha ottenuto il patentino da allenatore. Come mai questa scelta?
«Ho fatto per tanto tempo il calciatore, poi sono stato diversi anni in politica: tutto quello che ho fatto mi è piaciuto molto. Ma non sono un tipo da stare con le mani in mano. Nel frattempo ho anche scritto un libro, “Gianni Rivera ieri e oggi”. E visto che mi han sempre detto che facevo l’allenatore anche quando giocavo, chissà che qualcuno adesso non mi chiami».
Lei è una bandiera del Milan con cui ha vinto tantissimi trofei. Cosa pensa della possibilità che lo stadio Meazza di San Siro possa essere abbattuto?
«Per bellezza e storia come San Siro c’è soltanto Wembley. Quindi, o si fa come gli inglesi che hanno abbattuto Wembley per ricostruirlo uguale nello stesso posto. Oppure non vedo il senso di buttarlo giù e basta».
Dopo l’interruzione per il coronavirus, pare che il campionato riprenderà il 20 giugno. E non mancano le polemiche. Che ne pensa?
«Il campionato deve assolutamente concludersi. Quindi è giusto che riprenda con le dovute attenzioni e controlli del caso».