la Repubblica, 31 maggio 2020
Primo Levi ambientalista
Nato nell’anno in cui si scatenata la “spagnola”, il 1919, Primo Levi ha parlato delle epidemie, in particolare nei suoi due primi libri, Se questo è un uomo e La tregua. Forse proprio in virtù dell’esperienza sanitaria vissuta nel lager, e poi del suo mestiere di chimico, lo scrittore ha manifestato un’attenzione particolare verso i temi ecologici. In un suo libro di racconti, pubblicato nel 1971, Vizio di forma, figura un giovane chimico che deve verificare la vischiosità dell’acqua distillata. Boero, questo il cognome, s’accorge che i valori rilevati non collimano con quelli fissati dalle Tabelle di Landolt: il liquido si rapprende. Dopo qualche giorno, sulle rive del Sangone verifica che anche le acque del fiume subiscono il medesimo fenomeno. L’anomalia si estende via via a tutti i fiumi e ai corsi d’acqua, così che nelle zone contaminate nell’arco di pochi mesi muoiono gli alberi d’alto fusto. Quindi è la volta degli organismi umani: tutti cominciano ad ammalarsi e a morire. Su venti storie narrate nel libro almeno otto sono dedicate alla catastrofe ecologica. Nella quarta di copertina è scritto che la situazione attuale dell’umanità appare simile a quella di chi crede di navigare su un fiume tranquillo e all’improvviso vede le rive sfuggire all’indietro e l’acqua riempirsi di vortici fino a che si sente vicino il rumore della cascata: «Non c’è indice che non si sia impennato: la popolazione mondiale, il DDT nel grasso dei pinguini, l’anidride carbonica nell’atmosfera, il piombo nelle nostre vene», così che mentre metà del mondo attende i benefici della tecnica, «l’altra metà ha toccato il suolo lunare, ed è intossicata dai rifiuti accumulati in pochi lustri».Accanto al Levi testimone dello sterminio ebraico, allo scrittore della Tregua, al chimico de Il sistema periodico e al narratore di Se non ora, quando?, c’è anche l’ecologista, il propugnatore di una nuova etica ambientale, un autore oggi ancora tutto da scoprire. Nel 1979 presentando il libro di un chimico come lui, Luciano Caglioti, I due volti della chimica, Levi si domanda se non sia finalmente giunto il momento di mettere a freno, se non i consumi, almeno gli sprechi e i bisogni artificialmente provocati che hanno causato l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.
Vizio di forma è un libro ecologico di un chimico che ha letto Primavera silenziosa di Rachel Carson, denuncia del disastro prodotto dagli insetticidi, uscito in Italia nel 1963, e The Population Bomb del biologo Paul R. Ehrlich (1968) dedicato alla sovrappopolazione. Nei racconti di argomento ambientale Levi descrive il collasso verso cui va il pianeta quale risultato degli squilibri della biosfera. Nel 1983 ritorna sull’argomento in un saggio pubblicato sul Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, dove contrappone all’entropia l’omeostasi, il meccanismo di autoregolamentazione. Convinto che, se non proprio nell’universo in generale, almeno il nostro pianeta sia dominato da una forza non invincibile, ma perversa, la quale «preferisce il disordine all’ordine, il miscuglio alla purezza, il groviglio al parallelismo, la ruggine al ferro, il mucchio al muro e la stupidità alla ragione». L’equilibrio tra entropia e omeostasi gli appare molto instabile, a partire dallo stesso ambito storico e politico, ragione per cui, scrive Levi, sentiamo tutti un disagio crescente dovuto alla carenza di forze di richiamo e di retroazione: «Il mondo sembra avanzare verso un qualche rovina e ci limitiamo a sperare che l’avanzata sia lenta». Se il suo primo libro di racconti, Storie naturali, uscito nel 1966, già attento ai temi della natura, era venato di ottimismo, quello prodotto dal boom economico, come ha osservato Mario Porro, cinque anni dopo, con Vizio di forma, Levi lancia un allarme attraverso le proprie storie.
Nel 1970, lo scrittore legge un numero di Scientific American dove biologi ed economisti mettono a punto il concetto di biosfera, che contempla l’idea di un’interdipendenza del sistema globale, tema che troverà una sua formulazione in Gaia di James Lovelock, anche lui un chimico, solo nel 1979. All’epoca non circola ancora il termine Antropocene, formulato nel 2000 da un altro chimico Paul Crutzen, premio Nobel, ma in quella rivista c’è già l’idea di una alterazione degli equilibri biologici e geochimici innescati dall’azione umana. Uno dei problemi che più interessano il chimico torinese, all’epoca direttore della fabbrica di vernici Siva, a Settimo Torinese, è quello della sovrappopolazione che si connette a quello più etico e filosofico del dolore, cui sono dedicati vari articoli e brevi racconti sul mondo animale. Verso occidente è uno di questi. Due biologi, Anna e Walter, studiano una popolazione di roditori, i lemming, che si suicida per ragioni misteriose, e insieme una tribù dell’Amazzonia, gli Arunde, che rifiuta ogni sollievo anestetico e decide di sopprimersi. L’umanità sembra aver girato le spalle alla natura, scrive Levi, così che ora risulta composta da individui che puntano solo sulla propria singola sopravvivenza. Sono temi che lo scrittore torinese sviluppa attraverso apologhi e storie che pubblica su giornali e quotidiani, occupandosi sia del mondo animale che di quello vegetale. In un altro racconto di Vizio di forma, dedicato a Mario Rigoni Stern, Ammutinamento, ci presenta un personaggio, Clotilde, che parla con le piante che le rispondono. L’etica ambientale diventa un tema che coinvolge il comportamento degli scienziati e dei tecnici, due categorie che Levi distingue in modo preciso, collocandosi tra i secondi. Così, negli anni Ottanta, in vari interventi propone l’idea di un giuramento per entrambi, simile a quello di Ippocrate per medici.
In un’intervista a Playmen del 1982 afferma che è necessario e urgente che si pubblichi un codice deontologico del fisico, del chimico e del biologo. In uno dei suoi dialoghi immaginari con animali, uno dei suoi ultimi racconti, fa dire a un batterio presente nell’intestino umano, l’escherichia coli, intervistato da un giornalista, di stare molto attenti ad una possibile epidemia dal momento che questa minaccerebbe entrambi, batteri e umani; con una punta di ironia aggiunge che se per gli uomini questo potrebbe essere un problema mortale, lui, il batterio, potrebbe invece benissimo campare nello stomaco di uno scarafaggio, anche se naturalmente gli occorrerebbe molto tempo e tanta fatica per adattarsi.