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 2020  maggio 31 Domenica calendario

David Hockney dipinge con l’iPad

Mi pare fuori discussione che oggi David Hockney, 83 anni di eleganza e acume, maestria e sapienza, immensa semplicità conquistata in una vita di frenetica attività, non solo artistica, sia il più importante pittore vivente. Ma non certo per via delle quotazioni: sì, è vero che il suo dipinto del 1972 Portrait of an Artist (Pool with Two Figures) - una delle sue celebri piscine (e quanto sia iconica lo dice il fatto che nella superba serie a cartoni «Bojack Horseman», un cavallo-attore, è proprio quello il quadro nelle pareti della sua casa superglam del protagonista) ha fatto realizzare un record di 90 milioni di dollari, il massimo per un artista vivente. (E dire che, quando lo vendette al suo gallerista, Hockney non ricavò che 14mila dollari dall’opera).
No: qui non si tratta del valore venale delle opere; che alimenta cronache, gossip, maldicenze, dicerie e stupidaggini del mondo dell’arte, ma si tratta di riconoscere che il pittore inglese (e qualcosa vorrà pur dire se c’è una linea chiaramente individuabile nell’arte inglese che va da Bacon a Freud a Hockney, appunto: e di quale altra nazionalità potreste nominare altri tre pittori contemporanei altrettanto immensi?) è arrivato dov’è ora con una sola forza: la fiducia nella pittura. Meglio, la fiducia nello sguardo, nel suo sguardo, e nella potenza che l’arte assume quando si mischia alla vita. E la trasforma, la arricchisce, la invera. Non già la sua: la nostra. Hockney ha sperimentato tutte le forme di creazione di immagine e ora, per la gioia dei collezionisti che non possono arrivare a cifre astronomiche, usa (anche) l’iPad. Lo ha fatto di recente per una copertina del magazine del «Telegraph», mentre un libro edito da Taschen (My window), ha raccolto (2000 copie) 120 dei suoi “quadri” fatti con le nuove tecnologie. Ebbene, cambiano le tecnologie, ma non la sua mano e, dunque, la sua riconoscibilità.
Dopo una carriera di genio e sregolatezza, Hockney, sordo, due infarti, molti amori e amici e famigliari passati a miglior vita, negli ultimi anni ha riscoperto la gioia, il piacere, l’irrefrenabile bisogno, operato con fervore e devozione commoventi, di dipingere elementi naturali. «Solo con occhi da bambini si scopre il sublime», diceva Rilke. Alberi, albe radiose (come nella copertina di cui sopra), la fioritura dei biancospini, ogni singola nuova gemma che dalle umili piantine come dai maestosi alberi si leva a cantare la lode della bellezza infinita davanti a noi: in questo è tornato sempre più grande: nel dipingere un paesaggio, testardaggine e stupore, meraviglia e incanto, quando qualcuno aveva osato pensare che la pittura dovesse essere solo informale, astrattismo, geometrie. Lui no: ritratti, facce, persone e sentimenti (come nella mostra in corso alla National Portrait Gallery); il più difficile degli atti di fede per un artista: credere nella pittura, nel lavoro, nella bellezza.
Il recente “romanzo” che gli ha dedicato Catherine Cusset, Hockney. Una vita d’artista (Guanda, pagg. 228, € 17,00) è un tentativo di ripercorrere il tragitto esistenziale di questo classico, nato nel 1937 in una sperduta cittadina dell’Inghilterra e arrivato dritto al cuore di tutti noi. Romanzo con difetti, va detto, ma prezioso per conoscere più da vicino i meccanismi di un genio che abbiamo visto nella sua evoluzione. E che non è possibile non amare.