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 2020  maggio 31 Domenica calendario

Meglio snob che cafoni

Che deliziosa nostalgia sfogliare questo libro sulla vita di società in un periodo in cui è meglio evitare persino un incontro a due. Il mondo di tre mesi fa ci appare ormai remoto come l’alta società britannica di Downton Abbey. Certo, come spiega Amy Vanderbilt, «le buone maniere sono il codice stradale della società», ma dov’è finita la società? Però proprio per questo non c’è lettura più adatta di questo libro utile e brillante, in cui regole e aneddoti si alternano gradevolmente.
Vi ricordate l’attesa spasmodica, ma abilmente dissimulata, di raggiungere l’uscita senza turbare chi preferisce far tardi? Un dandy come Pierre Drieu La Rochelle aveva drasticamente risolto il problema, scomparendo letteralmente. Ci si voltava e Drieu non era più lì; non tutti però godono di una simile abilità. Andarsene senza salutare, «all’inglese», sarebbe l’ideale, ma i padroni di casa più suscettibili potrebbero, o meglio potevano, prima delle varie norme antivirus, interpretarlo come un segno di noia.
Leggendo queste pagine chi si abbuffa in solitudine davanti a una serie di tv con un piatto di sushi imparerà che le bacchette che manovra a fatica si chiamano waribashi e che «la cerimonia del cibo è quasi un duello in punta di bacchetta». Anche perché esistono ben sette modi per offendere il padrone di casa con le bacchette. Il più grave mi sembra essere il mogi-kui, il blasfemo abusare della bocca per togliere un rimasuglio di cibo ostinatamente attaccato alle bacchette. 
Sarà un motivo di godimento per chi rovescia maldestramente il piatto in bilico sul davanzale la storia di Edoardo VII, inventore dei risvolti ai pantaloni e di un enigmatico congegno per praticare il sesso a tre. A una cena regale in onore di un maragià, l’ospite si era avventato a mani nude sui succulenti asparagi per poi gettare alle sue spalle i resti gocciolanti. Peccato che dietro a lui, come ad ogni invitato, ci fosse un valletto in polpe che non aveva perso la sua impassibilità ricevendo l’inatteso proiettile. A quel punto il monarca, subito imitato dagli altri, aveva cominciato, per non mettere a disagio l’orientale, a buttarsi alle spalle i resti della golosa verdura. «La buona educazione, diceva Anton ?echov, non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel non fare vedere di accorgersi se un altro lo fa». 
Ma accanto a queste romantiche rovine del mondo di ieri non mancano i consigli indispensabile di netiquette, l’etichetta al tempo della rete, dove «la villania è sempre in agguato». Però leggendoli si viene presi da una certa malinconia: quanto sono lontani i tempi in cui si sentiva trillare un cellulare a teatro o «peggio ancora, a un funerale» e in treno le carrozze silenziose venivano profanate da infaticabili parlatori, pronti a divulgare ad alta voce ogni imbarazzante dettaglio della loro modesta esistenza. 
Chissà se le regole di distanziamento avrebbero influenzato la teoria del cinquecentesco Giacomo Guazzo sulla «civil conversazione», imperniata, a suo parere, sul duttile strumento «dell’accomodazione», l’arte di adattarsi all’ambiente in cui ci si trova, senza peraltro rinunciare alla propria identità. «I noiosi, ammonisce Pallotta, hanno lo straordinario potere di essere rilassanti». Non tutti però hanno tanta pazienza. Malgrado fosse pieno di tatto, Stendhal non ce la faceva a sopportare i noiosi e, se non riusciva ad evitarli, li aggrediva per metterli in fuga, salvo poi pentirsene una volta in salvo. Se i grandi conversatori sono rari, lo sono ancora di più gli ascoltatori. Henry Miller non era solo uno scintillante parlatore, ma anche uno straordinario ascoltatore. Quando le parole di qualcuno lo interessavano in modo particolare, si sfilava gli occhiali per pulirli, mettendo a nudo gli occhi stretti e commentava: «Bene, bene…».
Anche se molti eroi dei mass media sembrano ignorarlo, le buone maniere sono il lusso supremo, il segno inequivocabile che non si è dei parvenu. La lentezza che richiedono – il lasciar passare primi, la cortesia – sono il segno che non si è appena arrivati in alto spintonando a destra e a sinistra. La persona educata impressiona perché si vede che non ha bisogno di impressionare nessuno. Sa che a distinguerla, a renderla distinta non è la ricchezza, ma il modo di essere. «le maniere devono essere trasparenti come l’aria. se si notano è solo perché mancano». T.S.Eliot, irritato dalla studiata cortesia di James Joyce aveva commentato: «È educato, ma è troppo arrogante. Sotto sotto. È per questo che è così educato. Preferirei che fosse meno educato».