Il Sole 24 Ore, 31 maggio 2020
Il mistero svelato della caduta del gatto
Non ho mai avuto particolare interesse per i gatti fino a quando mia figlia non è arrivata nel mio ufficio portando in braccio una gattina che aveva trovato nel cortile dell’istituto. All’uscita della scuola materna le piaceva moltissimo venire in istituto perchè la popolazione felina del cortile era per lei una grande attrazione. Mia figlia viveva in una simbiosi stuzzicosa con la gatta Camilla che stava al gioco con pazienza, anche se ogni tanto qualche graffiatina ci scappava. Si erano inventate dei giochi e vedere la gatta che cercava di afferrare la macchia colorata del laser era esilarante. Camilla aveva l’abitudine di nascondersi sotto i mobili per fare agguati a mia figlia e solo a lei forse perché solo lei si permetteva di prenderla per le zampe per controllare che cadesse sempre in piedi.
Quando la sgridavo, dicendole che non doveva tormentare la povera gatta, non avrei mai potuto immaginare che questa abilità felina avesse incuriosito un così grande numero di famosi scienziati le cui storie, a volte serie, a volte facete, sono raccontate da Gregory Gbur in un godibilissimo libro.
Nei miei molti esami di fisica avevo incontrato solo un gatto immaginario nell’esperimento ideale di Erwin Schrödinger. Non mi ricordo di altri felini, ma il libro di Gbur è una fonte inesauribile. Pur avendo sudato sulle equazioni di Maxwell, non sapevo nulla della fama che si era guadagnato al Trinity College di Cambridge studiando la caduta dei felini. Né sapevo che condividesse questo interesse con George Stokes, notissimo per gli studi sul moto dei fluidi sfociati nelle equazioni di Navier-Stokes. Tuttavia, non furono questi due geni a risolvere il problema della rotazione in volo per l’ottimo motivo che il gatto è rapidissimo nelle manovra ed è stata la fotografia a fornire dettagli preziosi. Il libro ripercorre la storia delle foto prese in rapida sequenza per capire il movimento di gatti, cani, cavalli e uomini. Dai primi tentativi si arriva alla nascita del cinema. Poi si continua per scoprire che i gatti sono diventati soggetto di studio per le neuroscienze e modello per la robotica.
Tuttavia, credo che nessuno abbia tributato al proprio gatto un omaggio paragonabile a quello del fisico Jack Hetherington che decise che il suo Chester diventasse coautore di un importante articolo. La storia dice che Hetherington fosse pronto ad inviare il suo articolo alla prestigiosa «Physical Review Letters». Benchè fosse l’unico autore, nel testo dell’articolo aveva usato la prima persona plurale: noi pensiamo, noi calcoliamo. Un amico gli fece notare che alla rivista non sarebbe piaciuto. Era il 1975 e cambiare noi con io avrebbe implicato ribattere tutto l’articolo. Per risolvere il problema Hetherington aggiunse un secondo autore, F.D.C (Felix Domesticus Chester) Willard, che era il nome del padre di Chester. Non voleva che i suoi amici capissero il trucco.
La notizia che mi ha colpito più direttamente riguarda Edwin Hubble, lo scopritore dell’espansione dell’universo, che diceva di essere “aiutato” da Nicolas Copernicus, un gatto nero che amava stendersi sui fogli sparsi sul tavolo da lavoro dell’astronomo. L’occupazione delle scrivanie deve essere un altro tratto che accumuna la popolazione felina (almeno di quelli che vivono con umani dediti all’astronomia) perché anche Amelia, la gatta nera che mia figlia mi ha lasciato in custodia, ha perfezionato negli anni la capacità di occupare la mia disordinata scrivania, riuscendo sempre a sdraiarsi sul foglio che vorrei poter leggere, oppure direttamente sulla tastiera.