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 2020  maggio 31 Domenica calendario

L’estate del pipistrello. La pandemia e l’adolescenza

Pensi all’estate e pensi agl i adolescenti. Come sarà il loro agosto 2020? Ogni generazione ha avuto la sua estate: i motorini e le canzoni, il bagno di notte e l’interrail, la gelosia e gli abbandoni, le canne e la  sex education (la chiamiamo così perché è il titolo di una divertente serie tv con protagonisti sedicenni). Noi siamo adolescenti del secolo scorso e abbiamo un gran cinema che ci racconta, da  Les mistons di Truffaut ai Dreamers di Bertolucci, dall’iniziazione alla vita toccata dalla morte di Stand by me di Reiner («Eravamo stati via solo due giorni, eppure la città sembrava diversa: più piccola») al coraggio di un  coming out in riva al fiume, quando la scuola è finita, come ne  L’età acerba di Téchiné. Le estati degli adolescenti sono sempre diverse ma sempre uguali, dalla preistorica immortale minesca tintarella di luna agli amori a prima Insta di Shade («…ti metto i cuori ma manco li vedi/foto dei seni, foto dei piedi…»). Ma chi poteva immaginare un film dove il tabù da infrangere non è sfilarsi il costume ma la mascherina? Chi poteva scrivere un rap che fa, mettiamo, «…voglio la tua bocca ma c’è la mascherina/voglio la tua mano ma non mi star vicina…». Nessuno, tantomeno i politici alle prese con il complicato cubo di Rubick dell’esame di maturità, della riapertura delle scuole, delle lezioni a distanza. Alcuni, fuori dal coro ma forse profetici, dicono da tempo che l’estate sarà più normale del previsto. Le spiagge già affollate di questi giorni e la rinnovata coazione alla movida sembrano confermarlo: il lutto dell’età rubata si potrebbe quasi archiviare con una pizza dopo la maturità. Così almeno la pensa chi, sull’onda dello psicologo  storyteller Tomas Pueyo (un articolo da 26 minuti di tempo di lettura, tradotto in 20 lingue, con 24 milioni di visualizzazioni), già in tarda primavera iniziava a cogliere il preludio della danza dopo i mesi del martello. 
Comunque vada, diciamolo: nel pandemonio di questa pandemia, giustamente attenti ai più grandi, ci siamo dimenticati degli adolescenti, lo spettro anagrafico multimorfico che noi clinici chiamiamo 12-18. Mentre l’ombra della distanza sociale (formula orribile ed equivoca, a cui preferiamo, come Vasco Rossi, quella più schietta di distanza fisica) cala sull’estate, è difficile immaginare le loro vacanze, loro stessi non hanno progetti («vedremo … qualcosa dovremo farla per forza!»), anche se alcune cose le possiamo prevedere: in gran parte coi genitori, niente viaggi all’estero, niente concerti, rave, discoteche. Restrizioni necessarie, sia chiaro, ma poco adattabili ai bisogni di ragazze e ragazzi, hikikomoria parte, dunque inevitabilmente poco popolari.
Come alcune voci critiche hanno sottolineato, tra le prime la sociologa Chiara Saraceno, molti genitori si sono sentiti abbandonati a se stessi e dunque incapaci di rispondere alle domande dei figli. Importanti associazioni come Save the Children e Alleanza per l’infanzia hanno protestato contro restrizioni che considerano eccessive o inadeguate. 
«The Lancet», rivista scientifica di massimo prestigio, ha addirittura pubblicato uno studio che mette in discussione le chiusure scolastiche: un provvedimento poco sostenibile sul lungo periodo e non così efficace. Senz’altro meno efficace, scrivono gli autori, di altre misure come una diversa organizzazione dei corsi e degli ambienti scolastici. 
Gli psicologi dell’infanzia e dell’adolescenza si interrogano sulle conseguenze emotive dei mesi di lockdown, sia quello hard sia quello soft. Difficile fare un discorso a senso unico. Quarantene protette e armoniose, in appartamenti sufficientemente spaziosi e tra relazioni ben funzionanti, hanno anche portato, nell’immobilità forzata, una certa tranquillità interiore, minor competizione tra pari e dialoghi inattesi tra genitori e figli. La casa, scrive l’educatore Franco Lorenzoni, trasformata in territorio comune, un «continente esotico in cui si è precipitati». Anche Sandro Veronesi ha fatto un bel pensiero: e se i bambini si fossero adattati perché finora gli abbiamo fatto vivere una vita tossica? Al contrario, quarantene difficili, in spazi ristretti abitati da relazioni disarmoniche e conflittuali, hanno esasperato il malessere, la solitudine e l’oppressione del claustrum. Per immaginarlo, ci viene in mente il corto, girato con tecniche di cut-up video, con cui il regista polacco Zbigniew Rybczynski vinse l’Oscar nel 1983. Si intitola Tango (lo trovate facilmente su Youtube) e nasce per rappresentare l’oppressione politica. Ma, guardatelo, può parlare anche dell’oppressione domestica in quarantena: trentasei persone in un modesto salottino che si incrociano senza toccarsi, ripetendo ossessivamente gli stessi comportamenti (una mamma che allatta un bambino, un uomo che fa ginnastica, un’anziana signora che poggia un piatto sul tavolo…). È la rappresentazione visionaria e surrealista del totalitarismo domestico. I personaggi hanno bisogno di più spazio, la stanza deve esplodere, ciascuno deve sviluppare il proprio destino, liberarsi dalla ripetizione forzata dalla reclusione. Siamo riusciti, nelle nostre case, a creare lo spazio per queste esplosioni? Qualche adolescente è riuscito, in queste settimane, a scoprire che oltre un “dentro” domestico c’è anche un “dentro” psichico? E quali soluzioni si è inventato per confrontarsi, privato delle normali vie di fuga, con le angosce tipiche della sua età (il corpo, le relazioni, la sessualità, le domande sul senso della vita)? Oppure il nostro adolescente ipotetico era già abituato alla clausura del “dentro” informatico delle relazioni online e tutto sommato non ha fatto troppa fatica? La Fase 2 del dialogo clinico, rigorosamente Skype, con molti ragazzi ci indica che non sono pochi quelli che vivono con preoccupazione il ritorno alla vita “fuori” e con nostalgia il ricordo di quella “dentro”. Si ripropone l’oscillazione psichica tra claustrofili e claustrofobi, che potrebbe essere la versione lockdowndell’antica distinzione psicologica introversi vs estroversi (dai più moderni ribattezzati internalizzanti vs esternalizzanti). 
Fortunatamente ci sono anche quelli che, obbligati allo schermo dalla mattina (vita scolastica) alla sera (vita sociale), si sono accorti che la vita on remote non basta. Magari scoprendo, in uno slancio integrativo, quanto è bella la vita estroversa che il virus gli ha tolto, ma che è ancora più bella se riempita della vita introversa che il virus gli ha imposto. Tra le tante letture che i nostri adolescenti quest’estate (non) faranno ci sono i meravigliosi romanzi di Emilio Salgari, il quale, senza muoversi da Torino, ha scritto di tigri, di Indie e di pirati. Pieno di fantasie e di fantasmi sapeva immaginare al dettaglio ciò che non conosceva. Un genio dell’invenzione che morì suicida, forse per ricordarci che non possiamo inventare tutto. L’esperienza diretta è fondamentale. Ci vogliono i viaggi, i baci e le danze. Se non sarà questa l’estate, chiediamo al dio pipistrello che, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, lasci la prossima e tutte quelle a venire.