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 2020  maggio 31 Domenica calendario

Rigore tedesco tra Köln (Colonia) e Göttingen

Scrivo da due città della Germania, una metropoli e una cittadina di provincia, Köln e Göttingen. Quando sono in Germania (se non sono in Svizzera o in Italia) sto abitualmente a Göttingen, cittadina universitaria della Bassa Sassonia, amabile e priva di fabbriche, circondata da boschi di faggi. Nella sua Università insegnarono i fratelli Grimm e dai suoi dintorni provengono le fiabe da loro raccolte. 
Ma su Göttingen vorrei tornare dopo, dopo essere passata per Köln, dove mi reco di frequente in questo periodo per badare ai nipotini senza nido e senza scuola materna e con entrambi i genitori che lavorano a tempo parziale, misura peraltro di grandissima civiltà. Qui ci si è sempre spostati senza autocertificazione e sulla base della responsabilità individuale che è una specie di mito nazionale per i tedeschi postbellici che hanno rifiutato l’altro mito, quello dell’obbedienza cieca, pronta e assoluta.
Köln, Colonia per i romani, è una città che mi attrae perché mi ricorda Milano che sarebbe la mia città, se mai ne avessi una, e quindi mi ci sento un po’ a casa. Colonia ha un cardo e un decumano e una cerchia, anzi più cerchie che la circondano, e persino un duomo, proprio come Milano. Quello di Milano è bianco perché è stato pulito e quello di Colonia no e quindi è nero e sporco di smog come il duomo di Milano della mia infanzia. Però a Milano non c’è il fiume; una volta c’erano i canali ma sono stati coperti da tempo e della cerchia dei Navigli è rimasto soltanto il nome. Invece a Colonia c’è un fiume e che fiume: nientemeno che il Reno, che divide in due la città, spinge chiatte, battelli e barconi e porta sulle sue sponde il Carnevale, dalla sorgente fino a Colonia, dove è stato festeggiato anche in questo febbraio 2020 senza conseguenze catastrofiche. Lo stemma di Köln, e poi ho finito con la storia, rappresenta tre corone (le corone dei Re Magi, le cui salme, prelevate dalla chiesa di Sant’Eustorgio di Milano e donate alla città di Colonia da Federico Barbarossa, si trovano in un’arca nel duomo) e undici fiammelle, che ricordano le undici vergini (ma il mio prof. di storia dell’arte del liceo di Milano diceva che erano undicimila e ghignava chiedendosi dove mai le avessero trovate, undicimila fanciulle vergini...); quelle che Sant’Orsola condusse dalla Bretagna a Roma e che al ritorno, passando per Colonia solcando il Reno, furono trucidate dagli Unni di Attila.
Allora mi trovo a Colonia, in un campo giochi appena riaperto, nel maggio dell’annus horribilis 2020. Anche qualche scuola ha riaperto, ma asili nido e scuole materne sono ancora inaccessibili, e il campo giochi finalmente libero dai sigilli ha un’attrazione irresistibile. Sono tanti i bambini che giocano disperatamente, come per recuperare il tempo perduto; gridano e corrono e saltano nella sabbia e sui vialetti. Né loro né gli adulti presenti indossano mascherine. Molti sono a piedi nudi perché questo fa parte dello spirito germanico; camminare a piedi nudi fa bene, è più vicino alla natura e con la natura i tedeschi ce l’hanno da sempre, sono loro che hanno inventato il partito dei Verdi che alle ultime elezioni del Parlamento Europeo ha avuto una percentuale altissima, il 20,5.
In ogni caso appena si affaccia un raggio di sole i parchi si riempiono di gente che si toglie scarpe e sandali e se ne va «barfuß» (fuß è il piede e bar vuol dire nudo, mero, privo di e lo si usa anche per definire il denaro contante. Questa è una delle associazioni mnemoniche che avevo ideato per imparare questa lingua così bella e difficile: piede nudo come denaro nudo, barfußBargeld)
E comunque la cosa che mi colpisce di più della Germania, sono la soavità e l’efficienza della burocrazia rispetto ai macigni italici. I contributi decisi dal governo per chi è stato danneggiato dalle misure anti-epidemia sono arrivati a chi di dovere nel giro di una settimana. Cose di questo genere fanno sì che tu ti fidi dell’istituzione, anche perché l’istituzione si fida di te. Così hai l’impressione che una tolleranza diffusa, o meglio il fatto di fidarsi del comportamento dei cittadini senza subissarli di regole e norme che disciplinano ogni dettaglio della vita, consenta di raggiungere risultati importanti. Basta entrare nella metropolitana di Colonia per scontrarsi con una piccola società indaffarata che si incontra e si autoregola. Il che non conduce, come è noto, a un numero più alto di morti di Covid.
Tornando a Göttingen da Colonia in treno, si percorrono chilometri in mezzo a terreni con cento sfumature di verde, con i binari costeggiati, in questa stagione, da mille papaveri rossi. È raro vedere vacche al pascolo anche se le bestie ci sono eccome, se si pensa al consumo di carne suina e bovina da queste parti, ma accuratamente nascoste in stalle e capannoni da cui non esce un muggito, un grugnito o un odore di liquame, ma non per questo meno luoghi di tortura. 
Arrivando poi nella cittadina e scendendo dalla sua stazione come capitò a tantissimi studiosi di prestigio quali Edith Stein – Göttingen ha una concentrazione di Premi Nobel tra le più alte al mondo, 45 premiati che vi hanno studiato o, prevalentemente, insegnato, di cui due attualmente in giro per la città – hai però l’impressione, dopo il frastuono e la dinamicità di Colonia, di trovarti nel castello della Bella Addormentata(anche se la fiaba è di Perrault e non dei fratelli Grimm) dove tutti dormono da cent’anni. L’orso tedesco è uscito dal letargo ma non è che lo si percepisca più di tanto: il venerdì pomeriggio si continua a passare il tagliaerba nei giardini delle case, dove si farà il sabato la grigliata e la domenica pomeriggio ci si dedicherà al rito del Kaffe-Kuchen, il caffè lungo nelle tazze grandi e le fette di torta al formaggio fresco (Käsekuchen), quella che nelle descrizioni dei malati di Covid quando la metti in bocca sa di sabbia, e il caffè pure, e così capisci che ti sei preso il virus. 
Nell’apprezzare questi aspetti innocui della vita nel Nord Europa non ti rendi conto del perché la Germania sia, insieme alla Francia, in testa alla classifica dei Paesi più odiati dagli italiani che dichiarano invece a larga maggioranza di apprezzare Stati dispotici come Cina e Russia guidati da autocrati inamovibili, sprezzanti dei diritti umani.