Il Sole 24 Ore, 31 maggio 2020
A tu per tu con Federico Vecchioni
Come una forte scossa tellurica. Tra marzo e aprile i mercati internazionali delle commodities hanno registrato picchi e cadute di prezzo senza precedenti in un lasso di tempo così breve. Le quotazioni sono andate alle stelle, complici l’improvvisa impennata della domanda mondiale di cereali come conseguenza delle chiusure delle frontiere e dei lockdown, il dilagare della pandemia nel mondo e le immagini televisive delle lunghe code per accaparrare generi alimentari di prima necessità.
Spinte anche dall’annuncio della Russia che avrebbe ridimensionato al ribasso le proprie esportazioni, puntano sull’autosufficienza. Annuncio ripreso e amplificato da analoga decisione di Romania e Kazakhstan. In pratica il teatro del commercio internazionale, fino a due mesi fa globalizzato e aperto, si è improvvisamente chiuso sulla spinta della paura dei singoli Paesi grandi produttori di rimanere senza cibo.
E se adesso le tensioni sono allentate, sul futuro permane comunque una forte incertezza dettata dall’evoluzione mondiale della pandemia e da condizioni meteorologiche particolarmente incisive sull’esito dei raccolti.
«L’azione della Russia ha posto con vigore sul tavolo il tema del cibo, inteso come strumento di pressione politica e sociale», spiega Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF Spa, unica società italiana attiva nell’agricoltura e nella zootecnia quotata alla Borsa di Milano. Con oltre 7mila ettari coltivati in tre grandi aziende (Jolanda di Savoia nel Ferrarese, Cortona nell’Aretino e Arborea nell’Oristanese) Bonifiche Ferraresi dal 2014 rappresenta il polo agroindustriale più avanzato e moderno d’Italia. Un polo che ha dato interconnessione a differenti realtà (da Sis sementi a Cassa depositi e prestiti, da Leonardo a Ismea e A2A) applicando tecnologie avanzate per il rispetto della terra e dell’ambiente, senza intaccare le performance della produttività, con un valore alla produzione che nel 2019 ha sfiorato i 100 milioni, moltiplicando per 2 l’ebitda e con una capitalizzazione di Borsa di oltre 500 milioni.
Il concetto base di BF interpretato con carattere da Vecchioni è quello dell’integrazione ad alto valor aggiunto: dall’agricoltura agli alimenti interamente made in Italy. Dal grano duro Senatore Cappelli fornito come seme da Sis e coltivato da BF e da altri agricoltori italiani, nasce la materia prima per la pasta commercializzata con il marchio “Le Stagioni d’Italia”. Dagli oltre 5mila vitelloni allevati a Jolanda di Savoia arriva la carne per le principali catene della distribuzione organizzata e per il gruppo Cremonini. Così nel riso, nell’olio extravergine di oliva, nelle tisane, nell’ortofrutta fresca e nel pomodoro da industria. Le moderne tecniche satellitari, il monitoraggio costante dei terreni e l’uso di pratiche agronomiche non invasive permettono di preservare i fattori della produzione e soprattutto il suolo, l’acqua e l’ambiente.
Il sapere e la conoscenza maturata da BF è messo a disposizione, attraverso IBF Servizi, dell’agricoltura italiana a sostegno della sua evoluzione e del miglioramento della propria competitività.
Classe 1967, laurea in Scienze agrarie all’Università di Firenze, Federico Vecchioni nasce come imprenditore agricolo nell’azienda toscana di famiglia e oggi è top manager e tra gli azionisti principali del gruppo BF Spa: «Sono sempre stato convinto – dice – che il lavoro produce non solo processi di crescita individuali e professionali, ma anche valori importanti per la collettività. Detto con parole semplici: mentre svolgo il mio lavoro ho la consapevolezza di contribuire allo sviluppo della società e del contesto in cui vivo e opero, in Italia come nel mondo. E in questo periodo caratterizzato da un’emergenza sanitaria a livello globale, da difficoltà economiche e sociali rese ancora più palesi, ho compreso ancor più chiaramente che l’impegno di tutti noi deve essere indirizzato verso il benessere delle persone che per chi fa il mio lavoro, si traduce nella cura della terra e della natura garanzia di qualità per un numero di esseri umani sempre più diffuso.
«È partendo da questa base – spiega Vecchioni – che ho maturato la riflessione che il domani dell’uomo e il benessere dell’umanità sono strettamente connessi al domani della terra. Alla terra è chiesto di sfamare sempre più popoli, però sappiamo che la terrà coltivabile non è inesauribile. Mai come in questa epoca di emergenza mondiale, rivelata così violentemente dalla pandemia, si pone il tema del cibo quale elemento di stabilità economica e sociale. Ne è un esempio l’annuncio dato dalla Russia per quanto riguarda i mercati dei cereali, che ha messo in luce le differenti dimensioni economiche dei blocchi geografici e il grado di competitività produttiva dei singoli Stati.
«Al termine dell’emergenza non penso che la globalizzazione subirà una battuta d’arresto, ma cambierà in funzione dei punti di forza o di debolezza delle singole aree. L’approvvigionamento di cibo sarà un fattore discriminante per porsi in sicurezza. Il protagonismo dei Paesi del blocco asiatico e dell’Est europeo rischia di avere effetti imprevedibili sulle filiere. Il cibo ha sempre di più un valore strategico come lo ha l’energia con il petrolio e il gas. Il cibo è un antidoto alle tensioni sociali, uno strumento di pressione, una leva politica. È scritto nella storia. E oggi drammaticamente si ripropone. Vorrei ricordare un grande ministro come Marcora quando disse: se non difendete l’agricoltura, morirete di fame».
Un Paese come l’Italia, dove il concetto dello sviluppo delle filiere alimentari riveste da sempre un ruolo di centralità, deve quindi fare tesoro di quanto accaduto e avere piena consapevolezza che l’agricoltura innovativa e sostenibile è uno dei perni della crescita economica, sintetizza Vecchioni. «È quindi importante – aggiunge Vecchioni – comprendere che questo patrimonio tutto italiano è costituito da aziende, poli accademici e di un mix di tradizione e innovazione che deve diventare un fattore esportabile in quei Paesi che non lo hanno. Solo così l’Italia potrà rimanere un Paese competitivo in questo particolare settore».
Soprattutto oggi, davanti a una Unione europea che «non riesce ancora a esprimere forti politiche sovranazionali e che ha quindi come conseguenza una intrinseca debolezza in agricoltura, rispetto ad altri blocchi geografici quali gli Stati Uniti, la Cina, la Russia con gli altri Paesi dell’Est. Sono un europeista profondamente convinto. Ma non possiamo sempre seguire la linea dettata da Francia e Germania. Tra i singoli Paesi dell’Unione europea deve esistere un rapporto di pari dignità e solidarietà. Nello stesso tempo l’Italia deve compiere un grande sforzo per avere una struttura dello Stato più competitiva, meno pletorica e più efficiente, anche in vista del programma Next Generation Ue».
«Per l’Italia investire nel potenziamento delle filiere – spiega ancora Vecchioni – significa avere una visione strategica e Bonifiche Ferraresi si è data questa finalità. Lo fa anche il Paese? Io non lo vedo ancora. Credo invece che l’Italia deve cogliere l’occasione dei mutamenti internazionali in atto per scardinare il sistema delle inefficienze e far crescere il tessuto produttivo delle imprese. Serve coraggio per intervenire e cambiare le regole. Dobbiamo farlo subito, utilizzando la stessa velocità esecutiva dei Dpcm (i decreti del presidente del Consiglio, ora diventati famosi per tutti con la pandemia). Altrimenti corriamo il pericolo di perdere l’ennesima occasione di riforma, quindi di ammodernamento del Paese».
Dove e come intervenire? «Basta un esempio», ribatte Vecchioni. «Oggi c’è la possibilità di una partecipazione dello Stato nelle imprese. Diamo allora sostegno alla capitalizzazione delle piccole e medie imprese dell’alimentare italiano senza eccessivi vincoli né finanziari né burocratici, mantenendo però inalterato il valore del fare impresa e la capacità dell’imprenditore. È un dovere preservare il lavoro e farlo crescere e solo l’impresa è il generatore di lavoro. Se facciamo crescere le imprese, facciamo crescere anche la società. Il nostro Paese ha bisogno di una rapida modernizzazione».
Con aziende più agili, forti e capitalizzate l’Italia aumenta la propria capacità competitiva sia in Europa sia sugli scenari internazionali. E qui Vecchioni torna al tema del valore sociale e strategico del cibo, parlando del Progetto Africa, in cui Bonifiche Ferraresi assieme a Cdp e Coldiretti è partner del gruppo Eni. Siamo nel Ghana, a Dormaa East, nella regione di Bono: obiettivo dell’iniziativa è l’implementazione di un sistema di agricoltura sostenibile, partendo dalla formazione con il trasferimento di competenze e conoscenze tecnologiche e agronomiche. E poi il sostegno all’imprenditoria locale con la creazione di consorzi autosostenibili.
«Siamo partiti a novembre e ringrazio la sensibilità dell’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che ha riconosciuto il valore dell’esperienza di Bonifiche Ferraresi e lo ha voluto come supporto per lo sviluppo del progetto. Lo schema è analogo a quello che applichiamo in Italia. Bonifiche utilizza tecnologie e sviluppa conoscenza che poi mette a disposizione delle altre aziende agricole. Anche nel caso di Progetto Africa, abbiano messo a disposizione la nostra esperienza nella gestione dell’agricoltura, là dove il gruppo Eni ha invece maturato da anni una esperienza di rapporti sul territorio e con le autorità locali. L’interconnessione tra grandi realtà è una leva importante. Una strada che altri dovrebbero percorrere».