Il Sole 24 Ore, 31 maggio 2020
L’anno nero dell’acciaio
Taranto, Piombino e Terni sono a una nuova svolta. Un bivio che richiede per tutti e tre i siti, strategici per l’economia nazionale e per quella dei territori, un mix di capacità decisionale, investimenti, volontà imprenditoriale e nervi saldi. Ma lo scenario nel quale si adageranno i piani dei tre poli dell’ex acciaio di Stato, con quasi 15mila addetti, è il peggiore degli ultimi anni.
Overcapacity
Il mercato dell’acciaio non è più quello dei vecchi campioni nazionali alla Luigi Lucchini, che raccontava di tracciare un raggio con il compasso dalla sede di Brescia calcolando di non potersi spingere oltre Stoccarda. L’Europa oggi è un mercato regionale, ma la sovracapacità produttiva è un problema globale. Un dato strutturale con il quale forse gli operatori si erano abituati a convivere, tra alti e bassi, negli ultimi anni. Ma ora il Coronavirus ha reso insostenibile il tentativo di conciliare una domanda in regressione e un’offerta in espansione al traino solo dei mercati emergenti. Un’ analisi di S&P mostra che i produttori hanno reagito alle difficoltà del lockdown tagliando le produzioni, ma le prospettive della ripartenza, soprattutto in Europa, sono fragili. Al 18 maggio, secondo una ricerca di Vtb Capital citata da S&P, la capacità produttiva nel mondo era stata ridotta del 7%. L’Europa ha chiuso il 12% (circa 20 milioni di tonnellate), mentre gli Usa 13,6 milioni (il 15%). La stessa ArcelorMittal ha ridotto la capacità di 24,5 milioni di tonnellate e prevede una riduzione del 30% delle spedizioni nel secondo trimestre. Questo quadro esclude però la Cina, primo produttore mondiale con un output superiore al 50% del totale, che a metà maggio è tornata su una media di 2,08 milioni di tonnellate al giorno, l’1,88% in più rispetto all’anno precedente, il secondo valore più alto negli ultimi 5 anni, al traino di una ripresa legata anche agli interventi decisi dal Governo.
I settori utilizzatori
Ma nella vecchia Europa il quadro è diverso: lo sforzo di riduzione della capacità è apprezzabile, ma non è sufficiente se la dorsale manifatturiera ha ridotto il suo consumo in maniera più che esponenziale. Nei giorni scorsi il ceo di ThyssenKrupp, Martina Schulz, ha giustificato la scelta strategica di rimettere sul mercato la divisione acciai piani al carbonio europea con la situazione di sovracapacità conclamata. Ma è soprattutto il combinato disposto con i settori utilizzatori a rendere la situazione insostenibile. Dopo due mesi di operatività a singhiozzo l’auspicato ritorno alla normalità non c’è stato. Il mercato dell’auto, principale destinatario dei coils di ThyssenKrupp, di ArcelorMittal e di altri big europei, è praticamente dimezzato. Situazione simile per l’elettrodomestico. Le costruzioni sembrano soffrire di meno, ma non in Italia. E se la manifattura è ferma, non ripartono i cantieri e l’auto non compra, anche per gli operatori di taglia medio-piccola di casa nostra, ex «tondinari» da commodities in piena mutazione verso una dimensione da fornitore specializzato per la meccanica di qualità, il futuro sarà complicato. Gli ultimi dati di Federacciai confermano che sono stati proprio questi produttori ad avere pagato il prezzo più alto del lockdown: tra marzo e aprile il calo dei «lunghi» è stato di oltre il 45%, per un output complessivo sceso di oltre 800mila tonnellate nel solo maggio. Ora che l’attività è ripresa, non c’è la corsa ai magazzini. Secondo Eurofer, l’associazione dei produttori europei, per quest’anno ci si attende un calo della domanda del 10-20%, un dato che segue il -5,3% del 2019. Sarebbe la peggiore performance dal 2012. Eurofer crede che la situazione potrà migliorare non prima dell’ultimo trimestre del 2022. A questo quadro si devono poi aggiungere le difficoltà di Bruxelles, secondo i produttori, nel governare i flussi in importazione attraverso il cosiddetto meccanismo di Salvaguardia. Gli arrivi in Italia, a febbraio, registravano un calo (-15%), più accentuato per i flussi extraUe. In Europa, però, Platts segnala flussi che si confermano consistenti..
Tre territori al bivio
In questo scenario si collocano i tre piani industriali di Taranto, Terni e Piombino. Ognuno ha origini e motivazioni diverse, ma tutti sono compenetrati con le difficoltà della siderurgia globale. All’ex Ilva un player come ArcelorMittal – che il 5 giugno presenterà un piano per Taranto – è chiamato a conciliare la sua strategia di downsize in Europa e il suo equilibrio finanziario con le esigenze di rilancio e le cure che richiede un paziente come Taranto, in un braccio di ferro con il Governo tra minacce di penali, nuove governance a partecipazione statale e il sospetto serpeggiante di volersi disimpegnare. A Piombino un altro player straniero come l’indiana Jsw ha messo una bandierina in Europa promettendo futuri investimenti per riportare la ex Lucchini ai fasti di un tempo; ora che il mercato sta precipitando, quel ritorno a «colare acciaio» auspicato dal governatore toscano Enrico Rossi sembra sempre meno probabile. In un recente incontro con il sindaco di Piombino, il presidente di Jsw Italy Virendar Bubbar ha spiegato che «la discussione sul futuro è stata rinviata alla prima settimana di giugno», subito dopo il confronto del 3 giugno tra il chairman del gruppo Sajjan Jindal, con il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli. «La crisi – ha aggiunto Bubbar – impone riflessioni sui cambiamenti a livello globale». Infine Terni, finita suo malgrado nell’occhio del ciclone a causa delle difficoltà finanziarie di ThyssenKrupp: ora ricomincerà il balletto degli interessati, tra fondi, player internazionali e locali (Marcegaglia e Arvedi alla finestra, Patuanelli dixit).