Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 30 Sabato calendario

E se Colombo non fosse mai tornato? Un romanzo di Laurent Binet

No, Cristoforo Colombo non è mai rientrato dalle Americhe; e non sono stati i conquistadores a annetterle, ma gli Inca a invadere e conquistare l’Europa. L’ultimo romanzo di Laurent Binet (Civilizzazioni, tradotto da Anna Maria Lorusso per la Nave di Teseo) è un sontuoso e divertente saggio di storia controfattuale: analisi di percorsi alternativi agli eventi reali. La Storia, a grandi linee, segue un corso preordinato – o tutto potrebbe essere andato altrimenti?
Laurent Binet è ferratissimo in storia. Il primo, premiatissimo romanzo, HHhH racconta, con una mirabile documentazione, l’operazione” Antropoide”, attentato del 1942 contro Reynahard Heydrich, capo della Gestapo e pianificatore della” soluzione finale”. Ora Civilizzazioni rovescia la narrazione della scoperta dell’America – ma diventa una riflessione sulla nostra età moderna, e su certi vizi perenni.
Il romanzo è un gioco; così animato, che, composto di quattro parti, ci trascina senza fatica in quattro riscritture. In apertura, una breve saga nordica, di quelle che raccontano come intorno all’anno mille i norreni colonizzarono l’America Settentrionale. Qui Freydìs, maschia e avventurosa figlia di Erik il rosso, navigando verso sud, nota che la durata del giorno e della notte diventano sempre più simili che in Groenlandia o nell’Islanda natìa; trova terre boscose e isole di sabbia bianca, poi una città con piramidi a più piani, e divinità di serpenti piumati. Al loro arrivo, tra scaramucce e violenze efferate, gli indigeni morivano, e Freydìs allora fuggiva ancora verso sud; c’erano campi lavorati e le offrivano gioielli sempre più finemente cesellati. Un giorno, un amerindo ammalato si riprende. La malattia portata dai groenlandesi perdeva forza, e Frydìs si fermò – anche la saga non va oltre.
È ora il 1492; Cristoforo Colombo tiene il diario della traversata, sempre citando l’Altissimo e le Altezze reali, a cui promette costantemente oro in abbondanza, miniere d’argento, conchiglie perlifere, indigeni da convertire. Sono pacifici, bellissimi, nudi e con capelli lisci; sembrano non conoscere la proprietà, perché regalano tutto in cambio di qualche sonaglio. Un giorno, un mozzo scompare, poi una caravella; la Nina è stata tirata in secco; sulla Pinta regna un cacicco. Indiani nudi e dipinti tendono imboscate, centrando con le frecce gli spagnoli che avanzano appesantiti dalle armi, con le paludi e l’erba fino alla cintola. I nostri, attaccati a dei pali, hanno le orecchie tagliate; questi selvaggi guerreggiano ” come lanzichenecchi”, e li sterminano. Colombo resta solo, a raccontare a una bambina, Higuenamota, la figlia del cacicco, dell’immane regno di Castiglia e della sfericità della Terra; muore senza sacramenti; ha scoperto Cuba.
La fantastoria entra ora nel Nuovo Mondo – cioè la Vecchia Europa. Inizia il racconto degli Inca, e come “circa quaranta raccolti dopo” sbarcarono a Cuba, con le sue montagne senza neve e senza condor, e come l’imperatore Atahualpa vi acquisì qualche residuo archibugio, e una moglie, la regina Higuenamota, che ha l’età di sua madre e lontane origini norrene; navigando verso il sole, sbarcheranno a Lisbona, nudi e pieni d’oro, e di pappagalli, di cui nessuno sembra apprezzare le piume colorate. Si ritrovano in un palazzo splendido, abitato da uomini rasati e male in arnese, con rozzi mantelli marroni ( sembrano non conoscere l’alpaca), che scappano davanti alla magnifica regina ( che beninteso è nuda). Lo sguardo eccentrico degli Inca ha lo stesso effetto esilarante delle settecentesche Lettere persiane di Montesquieu, e di tutti i racconti dell’Occidente da una prospettiva a esotismo rovesciato. A Toledo gli Inca assistono al sacrificio ( è un rogo) di eretici, e sono indignati: quel dio inchiodato deve essere cattivo, perché i corpi vanno imbalsamati e conservati. Riuscendo a catturare Carlo V, assoldando con l’oro (da cui tutti sembrano ossessionati) migliaia di mercenari, e con l’aiuto di mori, conversos, ebrei, streghe, illuminati e luterani, e di tutti i nemici del “fetore” dell’Inquisizione, gli Inca si impossessano dell’intero Nuovo Mondo. Danno coca e terrazzamenti ai contadini, e a tutti libertà di culto: ma imparano le leggi del commercio e l’arte locale, incaricando dei templi del Sole e dei ritratti personali Michelangelo e Tiziano. Sfilano Lutero e Melantone, l’arciduca d’Austria e Solimano, Margherita di Navarra e Enrico VIII – per sposare Anna Bolena intende convertirsi al culto del Sole; innumerevoli sono i margravi e gli Elettori tedeschi; i papi sono due e si affrontano nella battaglia di Lepanto. La fantasia di Laurent Binet corre e – dati i presupposti – tutto è simile alla Storia, solo rovesciato. Il re di Francia è messo a morte già nel 1544, ma sacrificato in cima a una piramide a gradoni eretta al centro del cortile de Louvre; il sacerdote gli apre il petto, ne trae il cuore e lo brandisce alla folla.
C’è un senso in questa insidiosa galoppata nella storia virtuale del Cinquecento? Certo, e è narrata nella quarta parte, dove il giovane Miguel de Cervantes si ritrova, tra mille traversie, in compagnia di un severo greco (anzi, è El Greco) in casa di Montaigne. Il saggio filosofo, col suo colletto a gorgiera, mostra come tutti gli spropositi cui abbiamo assistito sono vecchi come il mondo; e ha un consiglio, quello di Sant’Ambrogio: «A Roma, fa’ come i Romani».