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 2020  maggio 30 Sabato calendario

L’“Ulisse”, il libro più censurato del ’900

Altro che Coronabond, Joycebond dovrebbero chiamarli, dal nome dello scrittore che ha chiesto più prestiti nella storia tra Dublino, Parigi e Trieste inaugurando l’idea del debito collettivo europeo. A volte li restituiva la mattina e nel pomeriggio tornava a riprendersi quel che aveva restituito. Il suo eroismo è stato tirare dritto sulla strada dell’arte accettando le miserie della vita. Lo ricorda Richard Ellmann in Joyce (Castelvecchi), monumentale biografia.
Se un capolavoro deve passare inosservato, come ha detto Bolaño, il quale ha chiamato Ulisse il protagonista di Detective selvaggi, il capolavoro di Joyce è passato anche sotto la mannaia della censura inaugurando la battaglia per la libertà espressiva nel 900. In Italia questo Odisseo moderno, in parte ispirato a Svevo, allievo di inglese di Joyce a Trieste, arriverà solo nel 1960. Il 21 gennaio del ’61 – giusto il tempo di leggere le 1.025 pagine dell’edizione Mondadori – verrà denunciato a Genova. Il fascicolo passerà a Verona, dove l’opera era stata stampata. “Dobbiamo ancora imparare a essere contemporanei di Joyce”, scrive Ellmann. In Italia ci abbiamo messo più che altrove, ma non dimentichiamolo: l’anno della prima edizione è lo stesso della marcia su Roma.
Per celebrare il sessantesimo della pubblicazione la Nave di Teseo manda in libreria una nuova traduzione. Tra l’altro per il Bloomsday, il festeggiamento dell’Ulisse. Si tiene il 16 giugno, ma quest’anno verrà rinviato, almeno a Dublino, come mi spiega Fulvio Rogantin, guida turistica joyciana in Irlanda: “I pub sono chiusi”. Vuoi festeggiare Joyce senza bere?
Essere contemporanei di Joyce significa penetrare nella mente messa a nudo della futura moglie del protagonista, Molly (si sposano nell’ultima, celebre riga): aspetti sessuali compresi. L’istanza realistica (“Che idea farci così con quel gran buco in mezzo…” ecc.), la mancanza di una finalità “afrodisiaca”, ha messo l’autore in una luce penalmente positiva. È un elemento fondamentale. Lo ritroveremo in vari processi e viene reso esplicito nel processo dei processi: “The United States versus a book called Ulysses”. Condannato negli anni 20 negli Usa dopo una pubblicazione a puntate sulla Little Review, interrotta dalla “Lega per la soppressione del vizio”, l’Ulisse finisce di nuovo in tribunale ma viene assolto e stampato nel ’34 dalla Random House. Il giudice John M. Woolsey, padre di uno dei magistrati di Norimberga, lo definisce appunto “emetico”, piuttosto che “afrodisiaco”.
Una delle foto più belle di Marilyn Monroe la ritrae con il ponderoso volume in mano in un parco giochi mentre sta leggendo una delle ultime pagine: il monologo finale di Molly Bloom a letto. Lo stream of consciousness senza veli e sotto le lenzuola ha dato fastidio anche ai denunciatori di Genova.
Il libro è un omaggio senza dedica alla moglie Nora, a partire dalla data di ambientazione: la stessa del primo appuntamento della coppia, in cui Joyce ha un primo rapporto sessuale, sia pure non completo (hand-job). Nora non ci si riconosceva (“Non sono tanto grassa”) e non lo ha neanche mai letto. Sotto il segno femminile anche l’esordio dell’Ulisse: è stata Sylvia Beach, della libreria parigina Shakespeare&c., a stampare le prime copie nel ’22 (oggi valgono intorno ai 30 mila euro l’una, il doppio se con dedica) ed è stata sempre una donna, Margaret Anderson, l’editore della Little Review, a stampare i primi estratti, i primi incerti, avversi passi dell’Ulisse nel mondo.