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 2020  maggio 30 Sabato calendario

Su “I segreti dell’urna”

A lungo gli italiani hanno scrupolosamente mantenuto il segreto dell’urna. Per tutta la Prima e una parte della Seconda Repubblica si può dire che il voto di tanti cittadini abbia rappresentato un mistero conservato «religiosamente». Ma pure nell’odierna Terza (o Quarta, chissà) Repubblica ci sono, come da titolo del libro di Giovanni Diamanti, I segreti dell’urna, i quali si identificano con qualcosa di un po’ diverso dal tradizionale riserbo italico nel confessare la propria scelta di voto. Qui si tratta del backstage e del dietro le quinte delle strategie elettorali, di cui l’autore è un esperto, ovvero – come si dice nel linguaggio della comunicazione politica – uno spin doctor. 
E, allora, a essere precisi, ci ritroviamo ancora e sempre dentro la medesima Repubblica partorita – seppure con alcuni cambiamenti via via intervenuti nel corso del tempo – dalla carta costituzionale del 1948 (senza 2, 3 o 4). Mentre a essere cambiate moltissimo sono le modalità di cercare voti e costruire il consenso; così, dopo la lunga stagione della propaganda e, poi, del marketing politico, tra fine Novecento e inizio anni Duemila siamo sbarcati nell’età della campagna elettorale permanente, e in uno scenario di moltiplicazione delle campagne to close to call (in cui l’esito non è scontato fino all’ultimo voto).
Sebbene ancora giovane, l’autore di questo testo è un affermato consulente (e analista) politico, ed è tra i fondatori dell’agenzia Quorum. Componente del direttivo dell’Associazione italiana di comunicazione politica, si è occupato di svariate campagne elettorali per politici come Debora Serracchiani, Umberto Ambrosoli, Pippo Civati, Vincenzo De Luca, Beppe Sala, Pierfrancesco Majorino, Nicola Zingaretti e Simona Bonafè. Diamanti riconosce molto giustamente, e con parecchia cognizione di causa, che il campaigning non costituisce una scienza esatta, né fornisce soluzioni universali o per tutti gli usi, poiché – un po’ come nel lavoro sartoriale – non esistono strategie adattabili a ogni contesto. Ciascuna campagna, in buona sostanza fa storia a sé (o quasi), per quanto ovviamente esistano delle buone – e vittoriose – pratiche da tenere a mente, e alcuni paradigmi, vagliati dall’esperienza sul campo, possano essere riproposti in circostanze differenti (seppur, chiaramente, non in maniera pedissequa o pigramente ripetitiva). 
Le tecniche del campaigning contemporaneo, di cui questo libro rappresenta un agile manuale, possono effettivamente venire ricondotte a una sorta di precettistica ricavata dal lavoro sul terreno e da alcuni principi di fondo, che si arricchiscono però delle intuizioni e delle idee sviluppate caso per caso (e candidato per candidato) dai dibattiti degli staff – a volte davvero ricchi di spunti e intuizioni – che avvengono nelle «segrete stanze» delle war room, e di cui Diamanti dà conto. 
Nella discussione tra gli specialisti della materia, lo spin doctor che ha scritto questo volume si colloca all’interno del «partito del pensiero strategico», vale a dire fra coloro che privilegiano il filone delle suggestioni provenienti dalla polemologia, e considerano traslabili alle campagne elettorali i consigli e i suggerimenti sull’«arte della guerra» di figure come Sun Tzu, Cicerone e Carl von Clausewitz. Potremmo dire la visione «classica» ed europea, che è risultata egemonica fino a quando non è arrivata dagli Stati Uniti, a partire dagli anni Trenta del Secolo breve (e si è imposta), l’altra grande corrente di pensiero sul consensus building, quella dell’estensione alla politica delle metodologie del marketing commerciale e della pubblicità. Diamanti ripropone l’utilità e l’efficacia della lettura della campagna elettorale quale campagna bellica sotto il profilo dell’elaborazione complessiva, annotando che i social media e le tecnologie digitali (con il potenziamento straordinario del microtargeting) costituiscono dei mezzi essenziali, ma non identificano l’«anima» di una campagna elettorale, coincidente con il suo messaggio. E sottolineando che, peraltro, a dispetto di una certa vulgata interessata e strumentale, la televisione continua a costituire la principale fonte di informazione per il pubblico dei cittadini-elettori. 
L’autore passa in rassegna i momenti e le tecniche essenziali per puntare a vincere, dall’esigenza di conoscere adeguatamente l’avversario-competitor (evitando l’errore di sottovalutarlo) al battezzare per primo il framing e il perimetro di gioco – anzi, per l’appunto, il campo di battaglia –, dallo scegliere accuratamente ciò che si vuole comunicare (perché troppi messaggi significano nessun messaggio) alla definizione precisa e rigorosa dei ruoli in seno al proprio comitato elettorale. 
Tra citazioni di Jacques Séguéla, Filippo Sensi e dell’obamiano Jim Messina, e con numerosi aneddoti e storie tratti da alcune delle principali campagne elettorali recenti, questo volume è uno sguardo dal di dentro e, al contempo, una cassetta degli attrezzi per capire come funzionano i meccanismi di edificazione e intercettazione del consenso elettorale. E quelli dello spin doctoring che si riconferma, anche se le grandi campagne elettorali risultano sempre più lunghe, diversificate e costose, come un’attività di (altissimo) artigianato.