La Stampa, 30 maggio 2020
Così gli intermediari reclutano rider in strada
«Hai un cellulare? Hai una bici? Allora firma qui». Poche parole per "reclutare"’ i rider per il delivery di Uber Eats. A Torino come a Milano. Prima c’è un passaparola. Poi l’incontro con i referenti della Flash Road City, società di intermediazione nel settore della logistica. Un veloce appuntamento nel centro città. La firma per un contratto di lavoro occasionale. Il pagamento di 3.50 euro per qualsiasi consegna a qualsiasi distanza. Nessuna formazione o informazione in più. Una stretta di mano e il colloquio finisce lì. Basta una manciata di minuti per essere risucchiati nel girone dei dannati del lavoro precario del ventunesimo secolo. A raccontarlo sono proprio loro. I fattorini che, per qualche spicciolo, portano il cibo nelle case dei torinesi. A pranzo e a cena. Con la pioggia o la neve. Poco importa.
In sei hanno messo nero su bianco la loro esperienza e, assistiti dagli avvocati Giulia Druetta, Gianluca Vitale, Sergio Bonetto e Laura Martinelli, hanno presentato un esposto alla Procura di Torino contro Uber Italy srl e Flash Road City srl. Un esposto finito sul tavolo del pubblico ministero Vincenzo Pacileo che ha aperto un secondo fascicolo, al momento senza indagati né ipotesi di reato, per fare chiarezza sul mondo dei rider. Un esposto che denuncia storie di povertà e sfruttamento. Storie che accomunano i firmatari a tanti altri fattorini "reclutati" per strada.
Sono tutti stranieri, perlopiù in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Tutti in precarie condizioni economiche, tutti disposti a fare qualsiasi sacrificio pur di guadagnare qualche soldo e ottenere i documenti per rimanere in Italia. Tramite qualche amico vengono a sapere che quelli della Flash Road City cercano rider per Uber Italy. Così li contattano, li incontrano. Forniscono nome, cognome, numero di telefono. Danno la loro disponibilità. L’italiano lo parlano a stento e lo capiscono poco. «Se firmi qui, risolvi i tuoi problemi e otterrai i permessi di cui hai bisogno» è il tenore della proposta. Così accettano. Ricevono lo zainetto verde porta vivande. A quel punto la loro vita viene scandita dalle consegne, i loro spostamenti monitorati tramite una app. «O rispondi a tutte le chiamate o puoi trovarti un altro lavoro». Chiedere un giorno di riposo? Un giorno di malattia? Rinunciare a una corsa perché fuori Torino? Impossibile. Bisogna rispondere sempre. Ed essere veloci. Anche senza protezioni. Perché il tempo nel delivery è denaro. Ma non per i rider. Per loro il compenso è sempre lo stesso: 3.50 euro.
Il Tribunale di Milano ha disposto il commissariamento per Uber Italy srl per caporalato, in particolare per lo sfruttamento dei rider addetti alle consegne di cibo per il servizio Uber Eats. E ora anche la Procura torinese vuole vederci chiaro. «Le caratteristiche del lavoro a Torino sono simili. Forse anche peggiori, con l’utilizzo dell’arruolamento su strada da parte di veri e propri caporali – spiega l’avvocato Druetta – Per questo abbiamo presentato un esposto che riguarda lo sfruttamento lavorativo e l’intermediazione illecita di manodopera. Con l’ipotesi che vi siano responsabilità sia da parte di Uber Italy sia, in concorso, di imprese satellite come la Flash Road City. Tramite un intermediario vengono reclutati i più deboli. Quelli che conoscono poco la nostra lingua e che sono i più ricattabili».