Linkiesta, 29 maggio 2020
De Benedetti non ce l’ha con Elkann ma con i figli
«Dalle pagine che seguono qualche lettore frettoloso potrebbe farsi l’idea che a noi il mercato e i mercanti, nel settore che ci riguarda, non andassero a genio». (Fruttero & Lucentini, I ferri del mestiere, 2003)
«L’ingresso in Borsa della letteratura è solo questione di tempo. […] Chi comincerà? Ovviamente De Benedetti» (sempre F&L, in un pezzo dagli evidenti toni satirici, pubblicato sulla Stampa il 14 febbraio del 1988; il pezzo prosegue spiegando che De Benedetti «annuncia da Parigi di aver costituito la Europroust, una finanziaria che si è già assicurata il 7,8% della Simenon svizzera, il 6,25%della Saul Bellow Estate, il 4% della Ken Follett Corp. e il 12,75% della García Márquez Trading Company»).
«L’ingegner Carlo De Benedetti in collegamento con noi» (Corrado Formigli giovedì sera, non precisando da dove l’ospite si connetta a Skype, e quindi non rispondendo alla domanda che l’Italia che lavora non si fa ma l’Italia che si dispera nell’editoria sì: l’ultima impresa, De Benedetti l’ha messa su senza muoversi dalle Bahamas?).
«La mano ce la diamo dall’epoca dei greci» (tanto per cominciare, De Benedetti cita Fauci, l’epidemiologo della Casa Bianca, che ha detto che non ci daremo più la mano; dietro, De Benedetti ha del mobilio da abitazione russa su cui ci sono delle coppe che potrebbero essere trofei calcistici, e una qualche incomprensibile immagine in una cornice ridondante, e uno specchio per la cui cornice servirebbero nuovi aggettivi, e una felce).
Note visive: prima di De Benedetti c’era una tranche di trasmissione alla quale partecipava il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, la cui camicia aperta e la cui giacca da Maurizio Ferrini in Quelli della notte e i cui occhiali a goccia restano imbattibili. Tuttavia De Benedetti, sopra la camicia a quadretti bianca e blè, ha una giacca blè che gli sale dietro, e possibile che uno possa essere tycoon per una vita e nessuno mai gl’insegni che in tv occorre sedersi sui lembi per non far salire il retro?
«Si dice “Fca ha sede legale in Olanda”» (Formigli pone a De Benedetti la questione volgarmente sintetizzabile in «soldi agli Elkann», ma la inquadra in un “si dice”: è un pettegolezzo? Un’opinione?).
Intanto la regia, per movimentare (sembra di sentirlo, il regista disperato che non può inquadrare il pubblico in studio, far partire gli applausi, far intervenire un secondo ospite), manda immagini a caso di gente per strada che si parla indossando mascherine.
«Non lo considero né un pericolo né un’opportunità: la considero una cosa che succederà» (De Benedetti, perentorio, sull’eventualità che lo Stato diventi socio di Fca).
Controscena blakedwardsiana: De Benedetti dice che «non bisogna vedere in maniera ideologica la presenza dello Stato», e la regia finalmente ha dove spostarsi: pronto a entrare in scena c’è Massimo D’Alema, inquadrabile mentre armeggia con la mascherina.
«Mah, guardi, a me non mi sembra particolarmente interessante né elegante parlare di quello che fanno gli altri» (De Benedetti sugli Elkann come noialtre quando ci chiedono come sia la nuova morosa del nostro ex, e ci teniamo che si dica, successivamente, che siamo state proprio eleganti, così eleganti da poterci permettere anche l’«a me mi»).
«A me fin da piccolo hanno insegnato che i regali non si vendono» (neanche Logan Roy, il patriarca di Succession, la miglior serie televisiva degli ultimi anni, disprezza i propri figli quanto Carlo De Benedetti; neanche Logan Roy sarebbe stato così feroce da metterla in termini di bon ton; d’altra parte i figli di Logan Roy, quando provano a vendere i giocattoli del padre, prendono certe facciate contro il muro che non c’è poi bisogno d’infierire).
«Discorso chiuso, non ne parliamo più, parliamo di Domani» (Carlo De Benedetti, il Giorgio Mastrota dei multimiliardari, esorta il conduttore a smettere di parlare di stronzate e a fargli vendere il prosciutto che è andato lì a promuovere; il prosciutto, per quei quattro che non lo sapessero, è un nuovo giornale debenedettiano, parte a metà settembre, anche se De Benedetti butta lì che partiranno prima con una newsletter sul virus e altre indispensabilità; il prosciutto si chiama Domani, e Formigli ne mostra per primo – transennate l’Auditel – la testata).
«È stato deciso ieri sera, quindi lei brucia tutti».
«Cos’è, un sole che sorge?».
«Un cammino in crescita».
«Critico nei confronti di tutti i poteri senza alcuna pregiudiziale» (De Benedetti, leggendo da un foglio, annuncia la gadlerneriana linea del giornale; Formigli, moderatamente spiritoso, risponde «Vaste programme»).
«Primo giornale che nasce digitale con la carta, non cartaceo col digitale: è tutto un altro gioco» (De Benedetti spiega che Domani ha a che fare con la nascita dell’uovo e della gallina).
«Possiamo dirlo qui che un giornalista risponde principalmente alla propria legge interiore» (Corrado Formigli in kantiana difesa dei giornalisti di Repubblica).
«Uscito in prima pagina su La Stampa del 14 febbraio 1988, questo nostro trafiletto provocò immediate telefonate di giornalisti alla segreteria di De Benedetti a Parigi, per sapere “che cosa ci fosse di vero”» (F&L, introduzione a “De Benedetti compra l’Europroust?”, in I ferri del mestiere).
«Trump perde» (De Benedetti conclude il segmento di trasmissione che gli compete con un poderoso bacio della morte a Biden).
«Spero che abbia successo» (subito dopo, in studio entra Massimo D’Alema, cui viene chiesto cosa pensi di Domani e che sui baci della morte è competitivo).